La stanza del tesoro

Criticoni, Diamante

– Ti rendi conto di quanto sei idiota?

Dalla bocca di Tsuzuki sfuggì una specie di guaito – Non è colpa mia, stavolta!

– No? – sibilò Hisoka, scoccandogli un’occhiataccia – Se tu non fossi stato così concentrato sul tuo vassoio di dolci, stamattina, non saresti andato addosso a Tatsumi-san, non lo avresti fatto arrabbiare e, soprattutto, non avresti fatto finire i suoi documenti sotto la tua scrivania!

– Ma io stavo solo camminando! – piagnucolò Tsuzuki, dimentico dei settanta e più anni che lo dividevano dal suo partner – E avevo fame, non avevo fatto colazione…

– D’accordo, falla finita! – brontolò Hisoka, seccato da tutta quella situazione; per quanto con lui fosse sempre stato piuttosto gentile, non aveva voglia di andare a fare un’improvvisata a casa di Tatsumi-san – E spiegami perché accidenti mi hai portato con te.

– Beh – rispose l’uomo, sorridendo conciliante – Tatsumi non si arrabbia mai con te, magari potresti intercedere per…

– Scordatelo. Non aiuterò un tonto che dimentica anche dove mette i piedi per un vassoio di dolci!

Un secondo gemito, simile ad un guaito, costrinse Hisoka alla resa – Piantala di frignare! Ormai sono qui e il mio pomeriggio di lettura è andato a monte per colpa tua, quindi almeno cerchiamo di ottimizzare. E non farmi fare figuracce!

Non voleva ammetterlo, ma era seriamente preoccupato per quella visita: Tatsumi era più spaventoso del signor Konoe, quando era in un ambiente completamente neutrale come l’ufficio Evocazioni, e non aveva per niente voglia di andare a disturbarlo nel suo territorio senza neanche farsi annunciare prima; ma ormai la palazzina in cui il loro Segretario abitava era lì davanti a loro e tanto valeva andare fino in fondo.

Il portiere aprì il portone appena li vide (si ricordava Tsuzuki, poiché era in servizio già dai tempi in cui era stato il partner di Tatsumi, e li indirizzò al terzo piano dell’edificio – Il signore è appena rincasato – aggiunse.

La targhetta con il nome del Segretario dell’ufficio Evocazioni scintillava di una lucentezza sinistra, tanto che Asato, istintivamente, si nascose dietro Hisoka.

– Non provarci nemmeno – ringhiò il ragazzino, sbattendolo letteralmente contro la porta.

Che si aprì da sola.

– Non ci credo che Tatsumi si sia dimenticato di chiudere la porta – balbettò Tsuzuki – Ci sta tendendo una trappola, lo so!

– Piantala ed entra – sbottò Hisoka, spingendolo dentro.

L’appartamento era esattamente come ci si sarebbe potuti aspettare da un uomo come il padrone di casa: l’ambiente era spartano, ma ogni singolo oggetto luccicava di un’aura lussuosa e costosa che intimidì i due ospiti.

– Tatsumi? – chiamò Tsuzuki.

Non ci fu risposta.

– Forse è in cucina… – ma nulla, dai bicchieri brillanti alle piastre del gas lucide, color acciaio, recava i segni della presenza del padrone di casa; la curiosità rese più audaci i due shinigami, e si avventurarono nel resto della casa: tutto era immerso nel silenzio, come se non vi fosse nessuno. Rimaneva solo la camera da letto e vi entrarono, ma anche lì, a parte le coperte ben tirate sul letto ed i cuscini sprimacciati, non trovarono nessuno.

– Pazienza, vuol dire che è uscito e ha dimenticato di richiudere la porta – sospirò Tsuzuki.

– Tatsumi-san non è sciocco come qualcun altro – lo corresse Hisoka – Comunque è meglio andare, questa casa mi mette soggezione.

Stavano per uscire quando, voltandosi a gettare un ultimo sguardo, Asato rimase colpito da qualcosa.

– Cosa c’è?

– Guarda, Hisoka – disse l’uomo, indicando un’anta socchiusa dell’armadio – Non vedi quel luccichio?

– Che luccichio? Non metterti a fare il ficcanaso e andiamo via.

Tsuzuki lo ignorò e si avvicinò all’armadio: aprì l’anta e, seminascosta dai vestiti, vide… una porta?

– Ti ho detto di non fare l’impiccione! – lo sgridò Hisoka – Non è casa tua! – ma dovette tacere davanti allo sguardo sbarrato del suo partner: gli si avvicinò per capire cosa lo avesse sconvolto così tanto (magari scoprire che c’era gente che stirava le proprie camicie, invece di mettersele addosso così come capitava?) e vide.

Il luccichio che aveva attratto Tsuzuki era quello di una pietra, un diamante, per l’esattezza: un diamante di dimensioni spaventosamente grandi, tra l’altro, visto che aveva più o meno la stazza di un bottone da giacca; e, dietro agli abiti appesi, si intravedeva chiaramente una porta, alta e stretta, perfettamente mimetizzata: se non fosse stato per il diamante, che era rimasto incastrato nell’anta e ne aveva impedito la chiusura, non l’avrebbe notata.

Asato non riuscì a resistere e allargò un po’ di più, con la punta delle dita, l’apertura: la dietro si apriva una vera e propria stanza, piccola, certo, ma piena, pienissima, di denaro, gioielli ed oggetti dall’aspetto costoso.

– Oh mio Dio – sussurrò, sconvolto – Abbiamo scoperto la Sala del Tesoro di Tatsumi. Ero sicuro che dovesse averne una, come i re cattivi delle favole!

– Semmai come Arpagone – bisbigliò Hisoka – L’avaro della commedia di Molière.

– Chi?

– Oh, lascia perdere – tagliò corto – Usciamo immediatamente da qui.

Tsuzuki riaccostò pian piano la porta, gettando un ultimo sguardo al diamante (che lo fissava come un custode severo), e sgusciarono fuori dalla stanza e dalla casa, senza accorgersi di aumentare progressivamente il passo, tanto da raggiungere il cortile interno del palazzo con il fiatone.

– Io sono… sono… – balbettò Hisoka.

– Terrorizzato – finì l’altro.

– Terrorizzato da cosa, Tsuzuki?

I due shinigami si voltarono e di fronte a loro comparve Tatsumi – Ni-niente, Tatsumi-san – balbettò Hisoka.

– Ecco – disse il suo partner, cacciando i documenti in mano al Segretario – Ti erano caduti stamattina.

– Oh, grazie – rispose l’uomo – Perché non venite a prendere un tè? Ero appena rincasato, ma la padrona di casa ha voluto assolutamente farmi vedere come crescevano le rose che aveva piantato un mese fa.

Lo disse con un tono che sottintendeva chiaramente quando non potesse interessargli di meno della sorte di quei poveri fiori e gli altri due shinigami, ricordando lo scintillio del diamante nell’armadio, rabbrividirono.

– Non occorre, non vorremmo mai farti sprecare altro tempo, Tatsumi-san – esclamò Hisoka, cercando, pregando, di essere convincente – Anzi, dobbiamo sbrigarci dobbiamo… dobbiamo riportare dei libri ai Gushoshins!

– Andate, allora – rispose il Segretario, con un sorriso, risistemandosi gli occhiali – Tra poco la biblioteca chiuderà.

– Agli ordini! – disse Tsuzuki, afferrando Hisoka per un braccio e trascinandolo via – Ci vediamo domani in ufficio, Tatsumi! – gridò, senza smettere di correre.

– Chissà che gli è preso – si disse il segretario rincasando: trovò la porta dell’appartamento socchiusa e serrò con un colpetto – Devo far proprio riparare questa porta – sospirò.

 

~*~

 

– Smettila di tirarmi! – gemette Hisoka – Adesso siamo al sicuro.

– Ho paura che non mi sentirò mai più al sicuro – piagnucolò Tsuzuki.

– Ma tu non lo sapevi di quella stanza? Eppure eri il suo partner!

– Non sono mai stato a casa sua.

– Mi sento di capirti – commentò il ragazzino.

– Sono felice che tu sia il mio partner, Hisoka.

– Vorrei poter dire lo stesso – brontolò l’adolescente.

Poi però ripensò al lucido bagliore di quel diamante e rabbrividì: in effetti, sarebbe potuta andargli molto peggio, no?


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