Waiting for... ~ II: Waiting for you

Chocolate Trilogy Fest, 14 febbraio, Letto

Il letto di Kazuhiko è piuttosto stretto; un letto da scapolo, così come la sua casa: pochi mobili, pochi ammennicoli, tutto disposto in modo un po’ caotico, ma nel complesso ordinato, come se il padrone di casa non fosse lì tempo sufficiente per creare scompiglio tra le sue cose.
Le piace quella casa, però, o per lo meno, la sensazione che le dà.
Capita spesso che si fermi a dormire lì e si risvegli tra le coperte disfatte, il vassoio della colazione sul comodino, Kazuhiko al lavoro da chissà quanto; sin dal primo giorno che ha trascorso lì, lui le ha detto di rimanere quanto vuole: mangiare, fare la doccia, quel che desidera, purché si senta un’ospite gradita.
Oluha si è spesso chiesta se il suo fidanzato, inconsciamente, non speri, ogni volta, di trovarla ancora lì, quando rincasa, come una mogliettina premurosa; avrebbe voluto, una volta o due, e si era attardata più del solito nella doccia, aveva impiegato un’infinità di tempo nel sistemare e asciugare i capelli, nel truccarsi, nel vestirsi, nel risistemare la camera da letto e la cucina… Poi però, alla fine, non ce l’aveva fatta, ed era andata via. Il suo spettacolo iniziava dopo l’orario in cui Kazuhiko rincasava, ma non si era mai fermata ad aspettarlo, perché temeva di illudere lui e se stessa su un futuro che non avrebbe mai avuto il tempo di verificarsi davvero.
Eppure si era accorta di una cosa, incredibile e meravigliosa, la prima volta che aveva dormito a casa di Kazuhiko: il ticchettio si era fermato. Non le era mai successo, prima, soltanto quando si abbandonava al canto, sul palco, dimenticando se stessa; eppure adesso, giorno dopo giorno, si rende conto che, quando è tra le braccia di quel ragazzo dolce e un po’ ingenuo, la sabbia nella sua clessidra scende senza far rumore, come se non volesse disturbare.
E di colpo, con una forza ed una vivezza che non aveva mai sentito, capisce che il tempo a sua disposizione è poco, ma è lì: rimane seduta sul letto, avvolta in un lenzuolo, le mani a sorreggere il viso e gli occhi, grandi, ombreggiati dalle ciglia lunghe, a fissare ora il fiore che Kazuhiko ha lasciato per lei sul vassoio, ora la luce che filtra dalla finestra, ora il binomio bianco-nero di quella casa silenziosa. Chiude gli occhi e ascolta: il ticchettio non c’è.
Le viene da ridere e si ristende, come una bambina capricciosa che non voglia andare a scuola: preme il viso contro il cuscino posto sull’altro lato del letto, e sorride a quell’odore ormai familiare come quello della sua stessa pelle.
Oggi rimarrà fino al ritorno di Kazuhiko.
Indosserà il vestito nero con le lunghe code di pizzo della sera prima, si truccherà con cura, accenderà le luci appena calerà il sole, preparerà la tavola e aspetterà di vederlo comparire sulla porta.
E sorriderà, perché sa che c’è ancora tempo.

~*~

Così, quando la porta si apre, quella sera, Oluha, vestita di tutto punto, attende dietro la soglia, senza riuscire a trattenere un sorriso divertito: Kazuhiko alza lo sguardo dalla serratura e incrocia il suo sguardo, rimanendo con la bocca socchiusa per la sorpresa.
– Tu… sei qui – dice lui, piuttosto scioccamente.
– Sono qui – risponde lei, sorridendo maliziosa.
– Non ti sei mai fermata, prima.
Oluha sorride, rendendosi conto del valore di quel che sta per dire – Posso rimanere ancora?
Kazuhiko rimane interdetto per un instante; poi, di colpo, la stringe tra le braccia – Certo – risponde – Oggi, domani. Sempre.
Lei ricambia la stretta.
Sempre.
Lo bacia, mentre sente la cerniera del vestito scendere, e le labbra di lui accarezzarle la pelle che si scopre via via, e si trova a sorridere di una felicità mai provata.
Sempre esiste.
Ed è qui, con Kazuhiko.


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