Waiting for... ~ I: Waiting for someone who looks only me

Chocolate Trilogy Fest, 13 febbraio, Incontro

C’è sempre tanta gente, la sera. Certo, il locale non è tanto grande e si riempie facilmente, ma fa sentire importanti vedere tutte le sedie occupate, anche se non sono tutti lì solo per lei: c’è chi ha avuto una giornata stancante e non vede altro che il piatto davanti a sé, chi è lì con la sua donna e non guarda altri che lei, chi invece è venuto con l’amante, e si guarda intorno nel terrore di essere scorto da un conoscente, chi ride e scherza con gli amici e non vede altro che loro.
Però, quando la musica comincia, si voltano verso di lei: è un secondo, perché molti torneranno quasi subito al loro precedente interesse, ma basta a farle salire una vampata di calore al viso, arrossandolo sotto il trucco.
Per un istante, al centro di quel piccolo mondo, c’è solo lei.
La musica è un abbraccio familiare, come quello di un amante di vecchia data, e la sostiene come vento sotto le ali ovunque lei desideri andare con la sua voce, come se, durante ogni canzone, esistesse solo quella parte di lei, impalpabile ed invisibile; a volte ha pensato di volersi dissolvere, di lasciare indietro quel corpo segnato dal tatuaggio e dal destino scelto da altri, e diventare solo voce, libera e leggera.
Soltanto voce, soltanto sentimento, lasciando indietro tutto il resto, a cominciare dal ticchettio del grande orologio bianco e nero che troneggia laggiù, su una delle pareti della sala: è un modello nuovo e, anche se ha le lancette, non emette alcun suono; anche se così non fosse, di certo, il suo tic tac sarebbe coperto dalla musica.
Però lei lo sente continuamente, quel suono.
Lo sente sin da quando era bambina, e ha scandito ogni momento, rendendolo sempre un po’ meno reale, meno vivo: perché il suo non è un orologio che va avanti, scandendo il tempo che verrà; è una clessidra che scorre verso la fine del suo tempo, e questo Oluha non può dimenticarlo mai.
Tranne quando canta: lì il suo corpo si perde nella luce dei riflettori, nelle onde morbide della musica, e di lei rimane solo la voce, che vola alta, lontano.

~*~

Le prime file sono sempre occupate dai vecchi clienti, di solito, le ultime da quelli che vogliono chiacchierare, e perciò si allontanano dal palco; quelle centrali sono dei nuovi avventori.
C’è un militare, stasera.
È un po’ una novità, poiché, per le loro serate libere, i soldati preferiscono locali più grandi, con belle ragazze che possano colorare una vita fatta solitamente di divise anonime e rigoroso silenzio; eppure il giovane uomo seduto in quel tavolo è lì e non sembra aver voglia di compagnia: guarda la bottiglia davanti a sé e sembra ignorare tutto il resto.
Però, appena lei sale sul palco, si volta a guardarla.
E rimane lì: il suo sguardo non la lascia, come quello degli altri avventori, ma rimane fermo su di lei; quasi non lo nota, all’inizio, nel suo totale abbandono canoro, ma a lungo andare si accorge che, sera dopo sera, il bel ragazzo con gli occhiali è lì.
Stesso tavolo, sempre in divisa (forse viene subito dopo il lavoro), stessa bottiglia.
Stesso sguardo: fisso su di lei, una mano a tenere il mento, le labbra un po’ socchiuse, da bambino in contemplazione dell’albero di Natale.
E a lei piace.
Non sa chi sia, ma tanta attenzione (assurdamente priva della concupiscenza che di solito le riservano gli uomini) la lusinga: si accorge di quanto quello sconosciuto sia diventato parte della sua solitaria quotidianità quando una sera, non vedendolo, prova un vuoto, come se nella sala non ci fosse nessuno ad ascoltarla; poi abbassa lo sguardo e lo vede in uno dei tavoli più vicini al palco, che le sorride, un mazzo di rose posato accanto alla bottiglia.
E sorride anche lei; per la prima volta, canta con le labbra rosse distese per un piacere che non riguarda solo la musica.
Sa che non è giusto, che probabilmente non amerà quel ragazzo com’è successo con altri, soffocata dal sapere quanti giorni, ore e minuti la separano dalla fine: pochi, troppo, per abbandonarsi ai sentimenti come alla musica. Rimane sul palco, allora, dove ha l’illusione di poter vivere infinitamente a lungo, perché ogni canzone dura solo pochi minuti, mentre la notte è lunga, e lei potrà cantarne tante, fino a sentirsi appagata.
Ma non è più libera come prima, se ne accorge: la voce sale, vola dove preferisce, ma i suoi occhi, il suo corpo rimangono saldi sul pavimento liscio e scuro del palco, perché c’è il bel militare, lì, nella prima fila, che non guarda altri che lei, mentre le rose rosse scintillano nella penombra come una promessa di felicità.


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