Long Way Home ~ Capitolo 20: Irritazione

Mezza Tabella Maledetta TRC Seishiro, 30. Noia

C’era un aspetto di quella faccenda, si accorse man mano che passava da un mondo all’altro, nel tentativo (vano, fino a quel momento) di ritrovare i due vampiri, l’aspetto probabilmente più irritante di tutta la faccenda: come se non bastasse quel vago, fastidiosissimo senso di solitudine, adesso si rendeva conto che, davanti ad un’antica tomba mai aperta prima, davanti ad un prezioso testo antico, il suo interesse era… anzi, non era.

Non che la storiografia, i miti e credenze culturali gli fossero venuti a noia: semplicemente, sentiva che la sua attenzione era puntata altrove; era come se solo la parola “vampiro” (o i diversi significati che quest’ultima assumeva nei vari mondi) fosse in grado di far cadere un velo di opacità dai suoi occhi: le palpebre, fino a quel momento mezze abbassate, si sollevavano di colpo, e l’attenzione si concentrava al cento per cento su quel che leggeva, come se quelle righe fossero evidenziate, scritte con un colore brillante che si staccava da tutto il resto della pagina. Cercava notizie su di sé, ovvio, perché si era accorto che tanti erano i miti sbagliati sui vampiri: innanzitutto, nonostante l’iniziale terrore, si era accorto che la luce del sole non gli nuoceva; la notte i suoi sensi si facevano più acuti, si era accorto di riuscire a vedere abbastanza bene anche con una scarsissima luminosità, malgrado il deficit all’occhio destro. Ringraziando il cielo, non era neppure vero che il sangue fosse l’unico alimento esistente: si accorse di poter fare a meno di mangiare, quando beveva il sangue di qualcuno (scoprì anche che si poteva mordere senza uccidere, il che lo liberava di parecchi fastidi), e che questo era in grado di dargli maggior vigore ed energia, oltre ad un piacevole senso di benessere.

Si nutriva poco così, però, perché si era accorto di essere spaventosamente schizzinoso: aveva scoperto che il sangue di ogni essere umano aveva un gusto ed un sapore diverso, e che poteva averne una vaga idea già dall’odore della pelle, ma che poche, pochissime persone riuscivano a smuovergli il desiderio di accostare le labbra al loro collo; e spesso, con fastidio, si svegliava la notte, sognando di affondare i denti nella gola di Subaru.

Tra le altre false leggende, c’erano quelle relative al fastidio provocato da taluni oggetti ed alimenti: l’aglio, per esempio, gli riusciva sgradito adesso come un tempo, non provava particolare imbarazzo davanti alle croci o alle chiese, e non sentiva il minimo brivido, nel passare accanto ad un frassino; e no, i fiori non appassivano, se li sfiorava. In altri momenti, avrebbe trovato spaventosamente affascinante una scoperta del genere: si sarebbe dedicato allo studio di come i vari popoli fino ad allora conosciuti si avvicinavano ad uno stesso fenomeno, quali fossero le loro varie versioni, alterate dalle differenti culture.

E invece, l’unico interesse che aveva, era scoprire se due giovani vampiri gemelli fossero passati per il mondo nel quale si trovava.

Tutto ciò era irritante: dare la caccia ad oggetti preziosi era ciò che lo aveva spinto ad abbandonare la sua casa e la sua famiglia, ciò che aveva sempre sognato, e adesso, invece, l’unico obbiettivo della sua attenzione, erano due adolescenti.

Aveva pensato più di una volta di lasciar perdere tutto.

Eppure, quando si sfiorava la guancia destra e non vedeva le sue dita, quando ripensava a Subaru, in lacrime, tenuto stretto dal fratello, provava un senso di irritazione e determinazione così forte da dimenticare cosa lo avesse fatto vacillare.

Voleva rivedere Subaru, anche se non riusciva a spiegarsi il perché di quel capriccio.

E così continuava a viaggiare, cercando l’unica cosa che riuscisse a tenerlo lontano dalla noia.

Aveva incontrato un ragazzino, una volta, mentre leggeva comodamente seduto su un tetto: un branco di energumeni lo aveva accerchiato per derubarlo e lui l’aveva recuperato come un gatto randagio; era cieco ad un occhio anche lui, il destro, e gli parve strano, in un bambino così piccolo. Aveva un modo di fare che gli ricordò Fu-chan e che, per la prima volta da quando aveva lasciato il mondo immerso nella neve in cui aveva incontrato per la prima volta i due vampiri, aveva smosso la sua attenzione: lo guardava con ammirazione, incantato dai vaghi accenni ai suoi viaggi, curioso ed attento.

Gli chiese di insegnargli a combattere, e lui, dopo un primo istante di stupore, aveva pensato che sì, poteva essere un buon modo per liberarsi dalla noia. Eppure, quando Shaoran-kun se ne fu andato via e fu anche per lui il momento di partire, non provò particolare malinconia, e la noia giunse di nuovo a tormentarlo.

 

~*~

 

Come se non bastasse, c’era un altro pensiero a tormentarlo: la limitata possibilità di viaggiare.

Un istinto che non riusciva a spiegarsi sembrava orientarlo verso le sue due prede, il potere che Yuuko gli aveva dato in cambio del suo occhio gli concedeva di scegliere la sua destinazione, ma il numero di spostamenti che gli avrebbe permesso erano ben pochi, in confronto alla vastità della sua ricerca: i due fratelli sembravano fermamente intenzionati a sfuggirgli, e quindi si ritrovava sempre un passo indietro rispetto a loro.

E, ogni volta, le sue possibilità di viaggiare si assottigliavano.

Finché un giorno, in un piccolo mondo sperduto, non trovò la soluzione ai suoi guai.


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