Stairway to Heaven ~ VIII. Dove il Male impara che i cattivi non nascono ma vengono creati, dagli altri, e poi non ci si può fare più niente

Nightbird tornò alla base, quella sera e tutte quelle seguenti, camminando ad un metro da terra.

Cooper lo fulminò con uno sguardo pieno di sospetto, mentre tentava di carbonizzare qualcosa dentro una padella.

– Si può sapere dove sei stato? È tutto il giorno che non ti fai vivo, ho dovuto badare alla tua super bietola da solo e ho carbonizzato le patate fritte perché pensavo che fosse come il forno e bastasse abbassare la temperatura in attesa che tu ti degnassi di tornare per cena e... oh mio Dio, cosa mi hai fatto?! Sembra un testo uscito daDesperate housewifes!

– ... sì, in effetti stavo per fartelo notare, Coop, è stato inquietante! Non farlo mai più!

– Scherzi? È stato orribile!

– D’accordo... take away?

Il loro modo di nutrirsi di cibi precotti aveva del surreale: non potendo chiedere alla pizzeria e ai vari ristoranti etniciGuardi, ci trova al Municipio, citofoni “Nightbird, crudele genio del male”, ogni volta dovevano dare un indirizzo diverso e Cooper, che ormai si sentiva attore dentro, ogni volta accroccava una qualche mascherata per ritirare il cibo in strada, davanti al cancello di una casa qualunque, producendosi in elaborate narrazioni per spiegare come mai non aspettasse che il corriere citofonasse per annunciare la sua presenza come ogni essere umano normale.

– Non basta dire “Se squilla il campanello mi si sveglia il pupo” oppure “Ho una muta di ferocissimi cani da guardia che possono sbranare anche da dietro il cancello” come fanno tutti? – tentò Nightbird, aprendo il cartone  con la sua moussaka.

– Non capisci l’arte, scricciolo – sentenziò Cooper – E, a proposito di arte, per rimanere nel mio tema quotidiano di Bree Van de Camp, oggi ti ho cucito il nuovo costume.

– Quale?

– Quello per il tuo prossimo duello con la super bietola. Ne ho fatto uno anche per lui.

– Dimmi che non ci hai cucito sopra Super Bietola II.

– ...

– Coop! Avevi promesso!

– Va beh, lo copro.

– Oh cielo. Bree Van de Camp non avrebbe mai fatto una cosa del genere, sappilo.

– Sei odioso scricciolo, sappilo.

– Piuttosto, gli ho trovato un nome.

– Allora ti preoccupi per la tua ortofrutticola creatura di cui ho finito per occuparmi io!

– Dovrai recriminare ancora per molto?

– Finché ne avrò la forza. Anche se il personaggio di Sue mi piace, sento che le mie doti recitative hanno ricevuto un’incredibile spinta in avanti, da quando la interpreto.

– ... se lo dici tu, Coop.

– Quindi, facendo il punto della situazione, scricciolo: abbiamo il costume di Bietola II la Vendetta-

– Coop?

– ... d’accordo, toglierò la mia meravigliosa iscrizione. Quindi, abbiamo il costume di coso... com’è che vuoi chiamarlo?

– Titan.

– Mhm, bel nome. Ci può stare, con quel colosso, ed evoca epiche sconfitte; poi, il tuo costume da Grande Scontro per il Dominio della Cella di Massima Sicurezza-

– E va beh, ma allora vuoi portare sfiga a tutti i costi!

– Insomma, il tuo costume è quasi finito e direi che possiamo darci alla pazza gioia!

– Tipo?

– Rapiamo Kurt Hummel?

– ... preferirei fare altro.

– Sì, hai ragione, dopo una giornata è pesante avere quello lì che ti trilla nelle orecchie.

– Lui non trilla!

– Come no? Incrinerebbe i vetri!

– Perché non ci rivediamo Il Padrino?

– Anche. Ma solo il primo.

– Sì, gli altri due portano orrendamente sfiga.

– ... sei diventato scaramantico tutto insieme, Coop?

 

~*~

 

Il giorno successivo Nightbird si lasciò docilmente trascinare da Cooper, nei panni tutosi e scarlatti di Sue Silvester, a quello che venne definito (o meglio: gli venne urlato in un megafono a venti centimetri dalla faccia) Il Giorno in cui il Tacchino prenderà il Volo.

– Coop, tu sei diventato del tutto deficiente. Quando torniamo a casa dovrò farti un controllo ed un back up, perché temo ti si sia corrotto qualche programma di quelli fondamentali...

Anche Dave non sembrò prendere benissimo il nome di quella giornata, ma del resto si era ormai abituato al modo surreale in cui quella donna pazza sembrava affrontare il mondo; e poi non gli dispiaceva del tutto: da quando il suo Padrino Spaziale lo aveva affidato alla Personal Trainer dei Super, la sua vita era diventata fichissima; sembrava di essere in un videogioco o in un film della Marvel – beh, quantomeno la parte in cui l’eroe viene addestrato da qualche bizzarro vecchietto orientale e, da patetico sfigato, diventa un superfico fortissimo.

E anche lui si sentiva così (anche se lui non era stato un patetico sfigato, prima): scoprire di avere tutti quei super poteri e imparare a controllarli era la cosa più pazzesca che gli fosse capitata nella sua vita, così come scoprire che veniva da un altro pianeta e che era destinato ad essere più del cazzo di impiegato sfigato che sognavano i suoi genitori; basta con il cazzo di college sfigato, basta con i pranzi della domenica con i parenti, basta pure con quei quattro soldi del lavoro di cameraman. Certo, avrebbe dovuto smettere di giocare a football con gli ex compagni di squadra delle superiori, perché adesso con un calcio poteva spedire la palla in orbita e con una carica di sfondamento avrebbe potuto spallare un palazzo, figurati un gruppo di avversari sfigati. Un po’ gli dispiaceva, doveva ammetterlo: da quando aveva cominciato la scuola al McKinley, i jocks erano stati i suoi unici amici e aveva continuato a frequentarli anche dopo il diploma, perché... beh, perché era facile, forse. Era entrato nella squadra di football del college e aveva ritrovato diversi ex compagni, quindi era stato un prolungamento naturale della sua vita, come non aver mai smesso con la scuola, come non essere mai uscito dai corridoi del McKinley; anche perché, come al McKinley, avevano subito fatto squadra e iniziato a “mettere al loro posto” gli sfigati. È la legge della natura, amico, aveva commentato Azimio, ridendo.

Certo, qui il clima non era quello claustrofobico delle superiori, come se il mondo finisse entro i confini del campus, ma la sua vita sembrava rimasta la stessa: ore di lezioni pallose, più o meno gli stessi amici, più o meno lo stesso locale dove andavano a bere il venerdì e il sabato, più o meno gli stessi allenamenti di football, le stesse raccomandazioni di suo padre di studiare e le strizzate d’occhi di sua madre sul portargli a casa una fidanzata.

Certo che ci usciva con le ragazze: alcune erano le ex cheerleader della sua scuola, altre erano amiche di queste ultime che erano adesso nella squadra del college, e poi c’erano le fidanzate dei suoi amici, con un paio aveva anche avuto una mezza relazione... certo che frequentava le ragazze, però, di nascosto da tutti, una volta al mese si concedeva una serata allo Scandals, un locale gay un po’ fuorimano, scelto appositamente per non trovarsi a fare incontri sfortunati con dei conoscenti. Lui non era un finocchio, ovviamente, era solo che... che lì si sentiva più a suo agio, che quando era circondato da quelle oche delle ragazze che gravitavano attorno al suo gruppo di amici.

E poi continuava a tornarci perché, una volta, ci aveva incontrato Kurt e... beh. Dopo i loro “trascorsi scolastici” fatti di insulti e lanci nei cassonetti (perché uno dei motivi per i quali Dave era così determinato a lasciare che quella suainclinazione fosse sconosciuta a chiunque aveva molto a che vedere con l’omofobia dilagante tra i suoi compagni di squadra), dai quali Kurt sembrava essere uscito a fatica, ma con caparbietà, quella sera avrebbe potuto essere la sua fine: l’altro ragazzo era infatti rimasto a fissarlo con occhi sbarrati, il bicchiere di una roba rosa con dentro una ciliegia a mezz’aria, e Dave si era sentito morire; era letteralmente corso verso l’uscita e, se avesse trovato prima le sue cazzo di chiavi della macchina, non si sarebbe trovato fulminato da un – Era questo il motivo, allora? – che arrivava, con voce scossa, dalle sue spalle.

La prima reazione era stata mollare un pugno sulla macchina, la seconda voltarsi come una belva furiosa e in trappola verso Kurt, che lo fissava tra lo sconvolto ed il preoccupato: Dave lo vide sbiancare alla luce pallida dei lampioni e guardarsi intorno, rilassandosi appena quando si avvide di altra gente nel parcheggio; poteva leggere un leggero sollievo nel modo in cui le sue spalle si rilassavano appena, e capì che era perché il sapersi in pubblico gli stava dando la speranza di evitarsi un pestaggio o di essere aiutato o che qualcuno avrebbe almeno chiamato la polizia se si fosse messo a gridare aiuto.

E Dave si sentì una bestia. Era questo l’effetto che aveva su Kurt?

Certo, in passato non si poteva dire che nessuno dei loro incontri, fossero a scuola o nel centro commerciale, fosse passato “sottotono”, senza almeno qualche insulto o il lancio di qualche cibo o bevanda, ma arrivare a vedersi riflesso come una bestia pericolosa nel volto del ragazzo era un pugno nello stomaco, perché per la prima volta Dave si vide come Kurt lo vedeva. E non era un bello spettacolo.

– Senti, Hummel – provò a dire, cercando di controllare la voce, che non suonasse scossa e spaventata come si sentiva in quel momento – Non sono cazzi tuoi. Non devi dirlo a nessuno.

Kurt lo squadrò qualche secondo, come considerando la situazione, e poi gli sfuggì una breve risata strana, senza allegria – Non ci posso credere. Te la stai facendo sotto. Tu. Dopo tutto quello che mi hai fatto passare.

– Senti, non voglio problemi, voglio solo che nessuno--

– Che nessuno sappia che sei qui? Che sei un, aspetta, fammi ricordare qualcuna delle tue brillanti definizioni: un finocchio, un frocio, una fatina?

– Non azzardarti--

– Oh, piantala! L’ho sempre pensato che tu fossi un idiota, ma non al punto da-da non avere le palle per mostrarti per quello che sei!

– Io non sono… Cosa vuoi in cambio? – ringhiò, sempre più disperato dalla situazione.

Kurt fece ancora quella strana risata e scosse la testa – Cosa credi, che sia come te? Può interessarci lo stesso sesso, ma sta’ tranquillo che con quelle bestie che frequenti non ho nulla in comune. Cosa pensi, che mi metta a ricattarti? Voglio solo sapere perché.

– Cosa, perché?

– Se anche tu sei gay--

– Non dire quella cazzo di parola! – ruggì, guardandosi attorno spaventato (ma nessuno sembrava prestare loro la minima attenzione, delle tre persone che chiacchieravano vicino ad un’altra auto).

– Se anche tu sei gay – continuò Kurt – Perché mi hai fatto passare quell’inferno a scuola? Con che coraggio?!

– Perché non tutti sono come te! Non tutti pensano che sia giusto e normale essere come te, non tutti hanno una famiglia e degli amici come te – rispose Dave a denti stretti, sputando a fatica ogni parola.

L’altro lo fissò a bocca aperta, fece per parlare ancora un paio di volte, ma sembrò che le parole non volessero uscire; alla fine scosse la testa e bisbigliò – E pensare che avevo paura di te e invece... eri tu ad essere terrorizzato.

– Io non ho paura di un cazzo!

– Oh, falla finita. Io non ho niente da raccontare a nessuno, ma se vuoi guastare la tua vita in modo così idiota e con le tue stupide mani, fa’ pure.

Alla fine, Kurt non aveva detto nient’altro, aveva girato sui tacchi ed era ritornato nel locale; Dave era rimasto un po’ nel parcheggio a domandarsi cosa fare, e alla fine era rientrato: Kurt era al bancone, da solo, e a quanto pareva era lì per assistere al contest di drag queen insieme alle sue amiche delle superiori (quella bassa col nasone e le due cheerleader del suo Glee club sfigato, la bionda scema che si era ripassata tutti e la mora stronza che sì, anche lei si era ripassata tutti) e, dopo avergli lanciato un’occhiata, non disse più niente.

Si incontrarono lì più di una volta – sembrava che Kurt ci venisse trascinato di malavoglia dalle sue amiche e che se ne rimanesse al bancone lievemente agitato dall’idea di venire approcciato, e finirono per parlare. Faceva strano, parlare, dopo anni di guerra, eppure uscì più facile del normale.

Era per questo che aveva finito per accettare il lavoro di cameraman per la sua stessa emittente ed era per quello che avevano iniziato a vedersi più volte a settimana; ai suoi amici Dave non aveva detto niente, e anche quando vennero a saperlo e presero a deriderlo, perché rischiava di farsi infettare da Hummel, tagliò corto dicendo che lo sopportava per lo stipendio e non poteva comportarsi come voleva o sarebbe stato licenziato.

La verità non poteva essere più lontana, pensò con un sospiro mentre Sue Silvester urlava qualche delirio che non sarebbe riuscito a seguire neanche se si fosse dato la pena di ascoltarlo; uno dei motivi per cui era felice di questa cosa dei super poteri era che, adesso, sarebbe stato fico come Metroman. Avrebbe preso il posto di Metroman. E lo sapevano tutti, no?, che Kurt aveva una cotta pazzesca per Metroman. E magari, adesso che con un pugno poteva sfondare un camion, nessuno avrebbe avuto niente da ridire sulle sue inclinazioni.

 

~*~

 

– Ed è per questo, tacchino mio, che ti nomino...

– Sue, al di là del fatto che gradirei smettessi di chiamarlo in quel modo – la fermò Nightbird – Preferirei occuparmene io, se non ti spiace.

Dave scrutò perplesso il suo Padrino Spaziale avvicinarsi con una scatola in mano; era un tipo strano, il suo Padrino, basso, con i capelli ingellati come gli attori dei film vecchi che piacevano a sua madre, però sembrava un tipo fico.

– Come ti dissi al nostro primo incontro, Dave, ti ho portato su questo pianeta perché sapevo che prima o poi ci sarebbe stato bisogno di te. Dopo la scomparsa di Metroman, questa città è rimasta senza protezione, in balia della genialità criminale di Nightbird: è giunto il momento che tu prenda il posto che ti spetta, ciò per cui ti sei allenato così duramente.

Dave si vide porgere la scatola, dalla quale estrasse una divisa rossa e arancio, sul quale petto capeggiava, così simile al logo della sua squadra delle superiori, un elmo ed una T scarlatta.

– Da oggi il tuo nome sarà questo, Dave: Titan, protettore di Metrocity.

Il ragazzo non si era mai sentito più fico di così.

 

~*~

 

– Bella scena madre, scricciolo – commentò Cooper quella sera, seduti a tavola.

– Oh, tutto mi aspettavo tranne un plauso, Coop, grazie!

– Anche Titan mi sembrava convinto, per una volta l’ho visto fare sul serio; a proposito, come ti è venuto in mente quel nome?

E fu lì che la mente geniale di Nightbird, colta contropiede, lo fece rispondere senza riflettere – Kurt mi ha detto-

– ... Kurt?

– Sì, Kurt. Dicevo, mi ha detto-

– Quando avresti visto Kurt, tu?

– In giro! Sono cose che capitano. Dicevo, quando...

– A noi non capita di avere vita sociale random, specie con Kurt.

– Quando erano a scuola – continuò Nightbird, ignorandolo – Dave era nella squadra di football, i Titans. Era il nome perfetto, a lui suona familiare e non c’è copyright che tenga.

– A parte che dovresti essere il Genio del Male e ti preoccupi di non infrangere i copyright... cosa ne sai che Kurt e la super bietola erano a scuola insieme?

– Stai diventando pesante, sai?

– E tu evasivo.

– Potrei aver visto Kurt, in questi ultimi giorni.

– Quanto ultimi, scricciolo?

– Ultimi, non li ho contati!

Mentiva. Aveva contato anche le ore e si era trattenuto ad un certo punto dal continuare a contare i minuti.

– Non c’è modo che Kurt Hummel possa incontrarti più di una volta nel giro di giorni senza che venga sequestrato. E quel genere di attività le abbiamo sempre svolte insieme.

– Non mi pare di essere una creatura così mostruosa da aver bisogno di rapire una persona per godere della sua compagnia.

– Godere di cosa?! Ti viene un principio di otite ogni volta che lo hai intorno, tanto ti inveisce addosso con quella vocetta stridula!

– Non è affatto stridula, la sua voce!

– Scricciolo, qui stiamo impazzendo e tu hai fatto qualche danno senza che io abbia potuto accorgermene.

– Non sono un moccioso, Coop, non lo sono più da un pezzo.

– Beh, non mi pare, dal tuo comportamento degli ultimi tempi: non ci sei mai, non dici dove vai, non--

– Cosa sei, mia madre?!

– Credo stia venendo fuori il programma “Genitore rompicoglioni di figlio adolescente” che tuo padre deve avermi impiantato e che non ho mai avuto l’occasione di usare.

– Ha chiamato un programma con quel nome?

– No, ma la definizione è calzante. Mi devi delle spiegazioni!

– Scherzi? Tu sei l’automa e devi rispondere a me delle tue azioni, non il contrario!

– Scricciolo, che diamine succede? Non ti sei mai fatto di questi problemi.

– Perché tu non sei mai stato così insopportabilmente molesto e ficcanaso!

– ... ti rendi conto che abbiamo vissuto per quasi un decennio in una cella di sei metri per sei, e anche la parte vivibile del Nascondiglio non aveva gli ambienti particolarmente più ampi, e non ti è mai venuto in mente di definirmi così?

– Si vede che ora inizio ad avere problemi di spazio!

– No, non è lo spazio.

– Certo che lo è.

Cooper lo squadrò per qualche secondo – Kurt Hummel è uno stupido moccioso isterico.

– Kurt non è un moccioso e se era isterico è perché non credo che a nessuno piaccia essere rapito!

– Ohmioddio, scricciolo, hai una cotta!

Nightbird scattò in piedi, rovesciando la sedia e boccheggiando – Non è vero!

– Ho guardato tutto Sex and the City, so riconoscere i sintomi!

– Ah beh, allora che parlo a fare.

– Ti sei preso una cotta per Kurt Hummel!

– E se anche fosse?!

– Non puoi! E poi, come diavolo hai fatto?! Non tollera la tua vista, preferiva farsi salvare da quell’altra bietola piuttosto che passare un solo secondo di più con te, e questo dovrebbe rendere l’idea di quanto ti considerasserepellente...

– Non mi considerava repellente! E comunque doveva solo imparare a conoscermi!

– ... ok scricciolo, chiariamo la situazione in modo che anche il tuo cervello annebbiato possa capirmi: in una storia come la nostra esistono solo tre tipi di personaggi. Il Buono, ovvero la defunta bietola e quella che stiamo coltivando adesso, Il Cattivo, cioè tu, e La Fanciulla, che in questo caso ha le poco muliebri forme di Kurt Hummel. E l’unica, sola equazione esistente è che Il Buono conquista La Fanciulla. Fine. C’è una letteratura sterminata e anche una filmografia immane in merito.

– Cazzate.

– Ah no, e lo sai meglio di me. Kurt Hummel non può averti voluto frequentare.

Il trillo di un sms suonò dalla tasca di Nightbird, che si sincerò ghignando del mittente – A quanto pare, invece sì.

Cooper lo fissò come se stesse per avere un cortocircuito – L’unica giustificazione a cui posso pensare è che... oh no. No. Dimmi che non hai continuato a fingerti quel tizio del museo di Bitolaman!

Nightbird si volse, ignorandolo.

– Ecco che tutto torna. Scricciolo, ma sei impazzito? Non capisci che non è interessato a te, ma a quell’altro chemanco esiste? Quel tizio, Blaine, non esiste, non sei tu e non lo sarai mai!

Il criminale alzò uno sguardo furente su di lui – E chi lo dice? Tu? Se avessi continuato ad andare a scuola dalla Pillsbury, se- io avrei potuto essere lui.

– No, non avresti potuto. Perché tu sei Nightbird, non Blaine: tu non lavori nel museo di Bietolaman, tu non usi quei cavolo di papillon, i musical li guardi a tempo perso perché la tua sola ed unica occupazione, il tuo unico interesse, è diventare ciò che hai sempre sognato di essere, il Genio del Ma--

– Forse allora non voglio più essere il Genio del Male, Coop! Ci hai mai pensato? Non sono una stupida macchina programmabile come te, io, io posso scegliere!

Cooper sembrò afflosciarsi, lasciando ricadere le braccia, le spalle, persino l’espressione – Il solo scopo della mia vita è occuparmi di te perché ho un programma che mi permette di volerti bene, non di obbedirti come un, come untostapane; ed è esattamente per questo che vedo dove può portarti questa stupida cotta, ad avere il cuore infranto perché verrà il giorno in cui Kurt Hummel scoprirà chi--

– No, non succederà.

– Non puoi esserne sicuro! Guarda che casino è successo con i tuoi piani del passato, non puoi prevedere tutto, specie gli umani!

– Mi basta smettere di essere Nightbird: sparire e continuare a vivere come Blaine, è perfetto così.

– Non puoi.

– Ah sì? Perché, perché tu vuoi impedirmelo?

– Non ti ho mai impedito niente, scricciolo.

– Tranne adesso, adesso che sei in modalità--

– Io ho appoggiato qualunque tua decisione perché, finché ti avesse reso felice, qualunque cosa era ok. Qualunque. Ma non prenderti una cotta per qualcuno che ti costringerà a negare chi sei e a vivere in un farsa fino al giorno in cui ti spezzerà il cuore – perché lo sai che succederà!

– No, non succederà.

– Non puoi chiedermi di rimanere qui a guardare mentre succede, scricciolo.

– E chi te lo chiede, Coop? Chi... chi ha detto che voglio che tu rimanga qui?

– … Non… non mi vuoi qui?

– No, Coop: sei stato programmato per allevarmi e il tuo compito dovrebbe essere finito da un pezzo, non so proprio che diavolo ti tengo ancora intorno a fare!

E mentre Nightbird, gelato, rimaneva lì a domandarsi se davvero poteva aver pensato, figurarsi pronunciato quelle parole, Cooper scattò in piedi, senza smettere di fissarlo: rimase qualche secondo così, nel silenzio innaturale della stanza, poi distolse lo sguardo e, muovendosi in un modo spaventosamente meccanico, uscì dalla stanza; a passo lento, testa alta, guardando fisso di fronte a sé.

E, dal modo in cui non lo aveva fatto agitando le braccia, gridando o sbattendo la porta come sempre, in un’eterna scena madre da primo attore di soap scadenti, Nightbird seppe che non era per scherzo o per stizza, ma solo perché se n’era andato davvero. Davvero e per sempre, questa volta.

Gli sembrò che stesse tremando la terra sotto i suoi piedi, che la stanza fosse piena di un vento denso e ronzante, e si poggiò contro la parete; sollevando lo sguardo, non sapeva dire quanti minuti dopo, si accorse che era quasi di fronte ad una finestra e che fuori era notte e che quindi il vetro gli rimandava la sua immagine quasi nitida come uno specchio. Vide i capelli modellati dal gel, la divisa nera e blu, la maschera, tutte cose che indossava subito dopo gli appuntamenti con Kurt, appena rimesso piede alla base.

Guardò se stesso, Nightbird, e gli parve di vedere tutto ciò che odiava di più e che non voleva essere; cos’era stata, quella, in fondo? Una vita di fallimenti e sconfitte, e lui era stanco di sentirsi un fallito ed uno sconfitto.

Ruotò lentamente il quadrante dell’orologio e il vetro gli rimandò, dopo un aggiustamento di un istante, come quando si sintonizza un canale alla televisione, i ricci corti ma comunque scomposti di Blaine, la sua t-shirt bianca con il papillon giallo canarino, come i risvolti delle maniche corte e i pantaloni: restò per qualche secondo a fissare quella persona che era lui ma allo stesso tempo non lo era e si costrinse a sorridere, vedendo il suo riflesso che sorrideva di rimando.

Ma sì: lui era Blaine. Blaine era la possibilità che non gli era mai stata concessa di essere una persona felice, libera, e lui non voleva lasciarsela sfuggire.

E poi il mondo sarebbe stato molto meglio, senza Nightbird.

Tanto che senso aveva essere ancora Nightbird, senza Cooper che gli spazzolava il mantello dai peli di gatto che sembrava attirare come un panno elettrostatico, che gli passava il gel la mattina e che era sempre un passo dietro di lui, più fedele della sua stessa ombra, più caro di qualunque altra cosa prima di conoscere Kurt, ma anche adesso – perché altrimenti non avrebbe dovuto fare così male.

Meglio che Nightbird se ne andasse, sparisse insieme a Cooper, e non gli facesse più così male.

 

~*~

 

Kurt continuava a rompersi la testa: c’era troppa roba a cui tenere dietro e iniziava ad impazzire.

In quel momento stava cercando di gestire, per l’esattezza, ad una crisi isterica di Rachel, che aveva appena scoperto di aver sbranato, in un impeto di fame nervosa, i suoi hamburger di carne, invece di quegli inquietanti affari di seitan che comprava per sé e adesso si strappava i capelli parlando di karma, poveri maialini sacrificati sull’altare dell’egoismo umano, di ideali infranti e non capiva bene cosa, dalla porta chiusa a doppia mandata, la musica accesa e la finestra spalancata sul traffico della città – avrebbe fatto detonare una bomba, pur di impedire ai gemiti disperati della sua coinquilina di giungere alle sue orecchie in modo nitido; come se questo non fosse stato sufficiente, la sua scrivania era ingombra dei bozzetti quasi finiti per la consegna dell’indomani al professore e dagli appunti che stava ammucchiando insieme a Blaine sul prossimo, oscuro piano di Nightbird; e infine, come se tutto questo non fosse stato sufficiente, aveva il letto completamente invaso di vestiti vomitati fuori dal suo armadio in una crisi di nervi alla “Non ho niente da mettermi” che coincideva, guarda tu la sfiga, con gli ultimi dieci minuti prima di uscire per andare al ristorante dove Blaine lo avrebbe aspettato di lì a breve. O forse era causata esattamente da quello, in effetti.

Resistette a fatica a mettersi le mani nei capelli, terrorizzato al pensiero di rovinare l’acconciatura che aveva impiegato trentasette minuti a fissare in quella esatta posizione: doveva ancora prenderci la mano, con questa cosa dell’avere, dopo anni di sogni, un ragazzo – e non uno a caso, ma uno bello, gentile, educato, che aveva la sua stessa passione per i musical, che adorava le sue stesse attrici, che leggeva le sue stesse riviste, che gli apriva la portiera del taxi, che insisteva per pagare quando uscivano insieme, che gli regalava fiori e mandava sms cretini ogni giorno.

Kurt Hummel aveva un ragazzo, uno splendido esemplare di ragazzo di nome Blaine e questa cosa lo rendeva talmente su di giri che la normale ansia da abbigliamento stava raggiungendo dimensioni epiche.

– Calma – si impose, avvicinandosi alla finestra di spalle e fissando il suo letto come un nemico da affrontare – Sono il re degli outfit, riesco a far sembrare una sofisticata ragazza di Metrocity persino Rachel, figurarsi se proprioio posso fallire l’abbigliamento per--

E si bloccò, ghiacciato, perché le sue spalle avevano toccato qualcosa che non doveva esserci, perché lì, all’altezza delle sue spalle, doveva esserci il vuoto della finestra aperta, e invece c’era qualcosa.

– Ma guarda che carino, ti stavi preparando per me, Kurt?

Con una mossa felina, dettata dal terrore e dall’istinto di conservazione, piuttosto che da doti atletiche che non aveva mai avuto, Kurt balzò all’indietro voltandosi al contempo verso la finestra, sul cui cornicione, come se alle sue spalle non vi fossero diversi piani di vuoto, sedeva qualcuno: il ragazzo squadrò un tizio dalle spalle pompate, fasciato in una tuta rossa e arancio che evidenziava un fisico scolpito, una maschera scarlatta sul viso e due occhi che lo fissavano al di sopra di un ghigno divertito.

– C-chi sei? – esclamò, non riuscendo ad impedirsi di balbettare.

– Oh già, non mi sono ancora presentato: mi chiamo Titan e sono il tuo nuovo supereroe.

– Il mio cosa?

Alle sue spalle, Rachel sembrò colpire la porta – Kurt? Non solo non mi stai ascoltando, ma ti sei anche messo a telefonare?

Prima di riuscire a urlare qualcosa tipo Quanto puoi essere egocentrica, Rachel! o un più realistico Chiama l’esercito, c’è un pazzo sulla mia finestra!, Kurt si sentì afferrare per un braccio e sollevare di peso.

– Meglio cercare un po’ di privacy – ghignò Titan, tirandolo su come fosse stato una bambola e infilando la finestra.

E Kurt, trovatosi a mezz’aria sul buio della sera e con le luci delle auto in coda e dei locali sotto di sé, gridò – o avrebbe voluto riuscirci, visto che gli uscì solo una specie di miagolio strozzato.

– Hey, hey, calmati – rise Titan, stringendoselo contro il petto con un braccio che sembrava di acciaio, svolazzando sulla città come fosse una passeggiata qualsiasi – Immagino che al primo appuntamento si possa essere emozionati…

– Quale primo appuntamento?! – trovò la forza di gridare Kurt, azzardando persino un pugno contro il suo petto (e facendosi male) – Questo è un sequestro! Mettimi subito giù!

– Hai le idee un po’ confuse, mi pare: i criminali sequestrano, i supereroi... beh, no.

– Chi diamine sei, tu? – ripeté Kurt, iniziando a sentirsi davvero spaventato: erano a decine di metri dal suolo e questo tizio sembrava essere davvero in possesso di superpoteri, come se Nightbird non fosse abbastanza.

– Te l’ho detto: mi chiamo Titan e sono il nuovo supereroe di Metrocity. Immagino che per te sia difficile abituarti a considerare me la tua nuova cotta dopo Metroman...

– La mia nuova cosa?

– Oh, hai ragione, hai ragione! Prima devo salvarti la vita, giusto?

E così, come nulla fosse, la presa sulla sua schiena sparì e Kurt si trovò a cadere a velocità spaventosa verso il suolo: chiuse gli occhi, gridando e aspettando lo schianto, ma si ritrovò afferrato come una bambola di pezza per un braccio e stretto di nuovo contro il petto d’acciao di Titan, che commentò ridendo – Ecco, salvataggio effettuato: meglio così?

– Tu sei un pazzo! – gridò Kurt, ma la voce gli uscì come un miagolio spento per il terrore e lo spavento: mai, mai in tutta la sua vita aveva avuto un terrore del genere, tranne quando suo padre ebbe il primo infarto, ma lì almeno c’erano Carole ed i suoi amici e la speranza di guarigione a tenerlo in piedi; ora non c’era niente ad ancorarlo, perché la sua vita era appesa ai capricci di un folle vestito di rosso che lo strava trattando come un pupazzo, delirando di coppia e appuntamenti. Mai aveva temuto per la sua vita quando era Nightbird a sequestrarlo, Nightbird che aveva più ergastoli che anni sulle spalle, Nightbird che lo prendeva in giro e minacciava, ma non aveva messo mai a rischio la sua incolumità. E questo, questo era il nuovo protettore di Metrocity?

– Me-mett-mettimi giù! – riuscì a balbettare con voce strozzata.

– D’accordo.

E Titan lo mise giù, certo, ma in cima al Metrocity Empire Building, ovvero a sessanta piani dal suolo: Kurt, terrorizzato dal mare di luci che brillavano nel buio là sotto, come se cielo e terra si fossero capovolti, indietreggiò disperato verso l’ascensore che si ergeva su quello che, per fortuna, era il penultimo livello, quello in cui i temerari e le coppie particolarmente incoscienti andavano a rimirare la città, protetti dalla balaustra.

– Sei-sei un folle.

– Naa, solo un supereroe. Strano che la prendi così male, Kurt, non facevi tutto ‘sto casino quando Metroman ti salvava.

– Perché Metroman mi salvava, appunto! Non mi terrorizzava sbatacchiandomi a decine di metri dal suolo, come un pazzo! E tu, tu saresti il nuovo difensore di Metrocity? Persino Nightbird ha più coscienza di te, ed è tutto dire!

– Su, di me puoi fidarti, sono l’eroe buono!

– Ma se non so nemmeno chi diavolo tu sia! Nessuno ti ha mai menzionato neppure al giornale!

– Oh, giusto, giusto! – esclamò Titan, avanzando baldanzoso – Pronto per il colpo di scena?

E, con un gesto veloce, si sfilò la maschera rossa, sotto lo sguardo sconvolto di Kurt.

– … Dave?

– Sorpresa! È una figata, eh?

– Ma come...?

– Sono di un altro pianeta! I miei poteri aspettavano che Metroman lasciasse il posto libero e adesso sono io l’eroe, non è fichissimo?

La mente di Kurt fissava terrorizzata il suo ex compagno di scuola, il jock, il bullo, quello che era talmente spaventato dalla sua omosessualità che si sfogava malmenando e rovinando la vita di chi non era “normale”, la sua, per esempio; pensò a questo e poi ai poteri smisurati di Metroman, e si sentì gelare – Oh mio Dio...

– Forte, eh? E adesso nessuno ci romperà le palle se vorremo stare insieme.

– Chi? – esclamò, troppo stordito da quanto stava accadendo attorno a lui; aveva bisogno di Blaine, di parlare con lui, di metterlo in guardia per capire se c’era qualcosa che si potesse fare... ma soprattutto aveva bisogno di Blaine, perché era spaventato come mai in tutta la sua vita, e niente al mondo gli sembrava più desiderabile di essere stretto tra le sue braccia.

– Noi!

– Non c’è un noi, Dave! Non ci sarà mai un noi, come puoi aver pensato...

– Perché? Che c’è che non va? Le cose sono cambiate da quando lavoriamo insieme, ci parliamo, non ti ho più--

– Ti prego, dimmi che stai scherzando – balbettò Kurt, sconvolto – Dave, tu hai reso la mia vita un inferno, quando eravamo alle superiori: il fatto che io ti abbia perdonato, il fatto che io abbia capito che ti comportavi in quel modo perché soffrivi per un conflitto tra la tua omosessualità e come ti sentivi in dovere di essere per soddisfare le aspettative della tua famiglia e non essere vittima di bullismo da parte del resto della scuola, non significa che io possa provare altro che amicizia nei tuoi confronti – e anche quella mi è costata fatica.

Di colpo, Dave sembrò perdere tutta la sua baldanza, come fosse tornato quello di prima, il ragazzo paffuto e fondamentalmente insicuro che era sempre stato – Perché? – ripeté – Adesso io, noi...

– Adesso, ovvero prima che tu diventassi questa persona che ho davanti, Titan o come ti chiami, tu eri cambiato, certo, ma... Dave, tu hai passato tutto il tempo al McKinley a lanciarmi nei cassonetti, a tirarmi addosso libri, granite e a buttarmi contro i muri e gli armadietti come se io fossi stato meno di niente – e tu e quelle altre bestie mi avete ridotto al punto da pensare di poter davvero essere niente! Ancora adesso non so come io abbia potuto sopravvivere al terrore di andare a scuola ogni mattina, se non avessi avuto mio padre e i miei amici a supportarmi: posso perdonare quello che hai fatto, l’ho fatto a fatica, perché ora vedo che sei una persona migliore... ma non si può perdonare la violenza, nemmeno se è giustificata dalla paura: non potrei mai pensare, anche se ti considerassi il mio tipo – cosa che non è – di avere una relazione con te, con una persona che mi ha fatto del maleripetutamente per anni, fisicamente e psicologicamente. E non è questione di perdono, è che se sei stato in grado di fare una cosa del genere una volta, vuol dire che potresti farlo ancora, e io-io non potrei mai vivere con una persona che so avermi fatto del male, perché... perché è contro ogni istinto di conservazione, perché mio padre mi ha insegnato che io sono importante, perché la mia persona lo è e perché merito qualcuno che abbia cura di me – non che debba farmi temere per la mia incolumità.

Dave lo fissò durante quel lungo sfogo, vomitato così in fretta che a volte le parole si erano accavallate, sempre più ferito e sempre più infuriato: perché lui ce l’aveva messa tutta, aveva chiesto scusa e aveva fatto del suo meglio per cambiare, perché Kurt non poteva fidarsi e basta, perché?

– Mi dispiace, Dave – bisbigliò Kurt – Adesso, ti prego, portami giù.

– No.

– Dave, a quest’ora l’ascensore non funziona di sicuro, come posso-

– No!

– Che vuol dire “no”?

– Ho fatto del mio meglio! E sono un supereroe, adesso, perché non capisci? Perché, per una volta, non può essere tutto facile?!

– Dave, calmati!

Ma non serviva, perché ad ogni perché? Dave si avvicinava di più, sempre più addolorato e arrabbiato e a Kurt sembrò di essere di nuovo al McKinley, davanti ad un jock arrabbiato e disperato per motivi che riusciva a capire ma non a giustificare, ma che in compenso poteva solo temere; si schiacciò sempre di più contro contro la parete alle sue spalle e Dave lo afferrò per le braccia e lo sollevò come fosse niente, spingendo la bocca contro la sua, e Kurt si sentì gelare e non poteva neppure tentare di allontanarlo, perché le braccia erano bloccate e comunque niente avrebbe potuto spostare quel colosso d’acciaio.

Dave si staccò e lo fissò in cerca di una rassicurazione, ma la sola cosa che ottenne fu vedere ciò che gli sembrava non essere mai sparito dalla sua mente, i corridoi claustrofobici del McKinley, gli occhi di Kurt pieni di lacrime e dipaura e di terrore e di desiderio di fuggire, di scappare dalla sua stretta; ma lui non voleva questo, perché doveva finire di nuovo così? Era un supereroe adesso, era l’uomo più forte di tutto il cazzo di mondo, perché doveva ancora avere tutta quella fottuta paura di essere rifiutato, rifiutato da quel ragazzo che poteva stringere fino a spezzare le ossa, ma che riusciva risolutamente a tenerlo fuori, fuori dal suo cuore e dalla sua vita.

Kurt tirò su col naso e, resosi conto che non poteva divincolarsi in alcun modo, singhiozzò disperato – Blaine,Blaine, aiuto, aiuto, aiutoaiutoaiutoaiuto, Blaine--

E Dave, semplicemente, sentì qualcosa rompersi e, con un’ultima stretta alle braccia del ragazzo, lo scagliò sul pavimento, allontanandosi camminando all’indietro, come se fosse lui quello più spaventato, e, dandosi una spinta così forte che le finestre del palazzo si spaccarono per più e più piani, saltò, balzando in aria, lontano da lì, lontano da Kurt, lontano da ogni speranza di essere con Kurt, di essere la persona che sapeva che Kurt avrebbe potuto aiutarlo ad essere e non sarebbe mai stato.

Perchè, in fondo, era tutta colpa sua sin dall’inizio, perché avrebbe potuto essere diverso, non riversare sugli altri le sue paure, ma non l’aveva fatto, aveva scelto la via più vigliacca, e ciò che era peggio era che non poteva incolpare altri che sé stesso. Perché se sei stato cattivo si può perdonare, forse, ma mai dimenticare, mai cancellare quel che si è fatto, e lui lo stava imparando a sue spese.

 

~*~

 

– B-Blaine?

– Kurt, dove sei? Sto entrando ora al ristorante.

– No, sono... Blaine, vienimi a prendere, ti prego...

Nightbird si fermò, le rose in pugno, ghiacciato davanti alla porta del ristorante – Kurt, che succede? Stai male? Dimmi dove sei.

– Vieni qui, ti prego--

– Arrivo subito, Kurt, arrivo immediatamente, ma dimmi dove sei.

– M-metrocity Emp-empire Building, su, ultimo p-piano.

Nightbird avrebbe voluto chiedergli come e che diavolo ci facesse lassù, ma preferì iniziare a correre, le rose ancora strette nel pugno senza che neppure si accorgesse che erano lì.

 

~*~

 

– Ti senti meglio?

Kurt aprì lentamente gli occhi, il viso affondato nella spalla di Blaine, così stretto contro il suo fianco che la schiena iniziava a indolenzirsi – Non lo so.

– Almeno non tremi più – rispose Nightbird, rimboccandogli con cura il plaid sulla spalla, posandogli un bacio sui capelli – Vuoi una cioccolata calda?

Kurt aveva la protesta sulla punta della lingua, perché le calorie, ma invece gli riuscì solo di annuire, cullato nel tepore del divano: Blaine lo accomodò delicatamente contro il bracciolo e sparì in cucina, tornando di lì a poco con due tazze, porgendogliene una con un sorriso; lui l’accettò, portandosela alle labbra e inspirando quel profumo meraviglioso – era la sua polvere per cioccolata calda, quella che gli aveva insegnato a preparare sua madre e che lui aveva continuato a produrre in dosi industriali ogni primo ottobre per sé e per suo padre (e ora per Rachel e gli altri amici).

Rimasero in silenzio e a Kurt sembrò di riuscire a respirare di nuovo, nel minuscolo divano del suo loft mezzo cadente, Blaine davanti a lui a fissarlo come fosse stato la più delicata e preziosa delle creature, sfiorandolo di tanto in tanto per fargli capire che era lì, ma che non voleva imporgli il minimo contatto fisico indesiderato.

Ed era bello. Era confortante, era protetto e gli sembrava di non essersi mai sentito così amato come quando Blaine era uscito dalle porte dell’ascensore, tallonato da un uomo della sicurezza, e lo aveva preso tra le braccia, continuando a ripetere Sono qui, va tutto bene, sono qui adesso.

Posò la sua tazza sul tavolino ingombro di riviste e Blaine fece lo stesso, chiedendo – Non ne vuoi più? La riporto in cucina? – ma Kurt, semplicemente, gli scivolò in braccio, rannicchiandosi contro il suo collo.

– Ho solo bisogno di stare qui – bisbigliò. Al sicuro, protetto e amato.

 

~*~

 

Pochi giorni dopo, Kurt era di nuovo se stesso e lui e Blaine erano in procinto di uscire dal museo di Metroman per quella cena che era saltata inaspettatamente.

Era tutto perfetto e Nightbird non poteva sentirsi più felice – o quasi: quando doveva tornare al Municipio, nel buio e nella solitudine di quelle stanze, credeva di impazzire; Cooper non era tornato e lui era troppo spaventato al pensiero di andare nella vecchia base e non trovarlo neppure lì, perciò viveva per quelle ore, sempre di più, che trascorreva con Kurt.

– Meglio, oggi? – chiese, come faceva ogni mattina da quella traumatica serata.

Kurt sorrise e si strinse nelle spalle – Meglio. Mi sembra tutto meglio, quando ci sei tu intorno.

Nightbird tacque, perché Kurt sembrava rifiutarsi ossessivamente di raccontare cosa fosse accaduto quella sera, tranne balbettare ho rivisto un tizio che mi tormentava quando ero a scuola e lui ci ha provato e mi ha terrorizzato e non ne voglio parlare adesso, ti prego.

Kurt fece una risatina, scuotendo il capo – Scusami Blaine – allungò una mano, coprendo quella del suo ragazzo – Prometto che ti spiegherò tutto con calma, ma… non stasera. Stasera voglio pensare solo a non sprecare questo appuntamento una seconda volta.

– È un invito a distrarti?

Il ragazzo sollevò un sopracciglio con aria divertita e Nightbird si sporse verso di lui, posando le labbra contro le sue in un bacio rapido e poi un altro e un altro ancora, finché Kurt, ridacchiando, gli prese il viso con una mano e facendo involontariamente scivolare l’altra lungo il suo avambraccio, ruotando il quadrante dell’orologio.

Così, quando si staccò, davanti ai suoi occhi comparvero le labbra di Blaine e gli occhi color ambra di Blaine, ma avvolti dalla maschera nera di Nightbird, così come i ricci scomposti erano ora perfettamente gestiti dal gel e il suo lungo mantello blu e nero gli pioveva dalle spalle come le ali di un corvo.

E Kurt si scostò con un singulto, così sconvolto che fece cadere la sedia alle sue spalle.

– Che c’è? – chiese Nightbird, tendendo una mano verso di lui e rendendosi conto, in quel momento, dei suoi guanti neri e della sua divisa e che, merda, aveva ripreso il suo aspetto. Squadrò Kurt con occhi disperati – Ascolta, posso spiegare...

– Cosa?! Cosa vorresti spiegare?!

E, prima ancora che il criminale potesse tendersi ad afferrarlo, Kurt corse fuori dalla sala del ristorante, Nightbird alle sue calcagna, incurante delle grida spaventate degli altri avventori.

– Kurt! Fermati, ti prego, posso...

Disperato, Nightbird saltò in auto e iniziò a prendere la strada in direzione della metro, cercando e trovando l’altro ad un incrocio deserto, tanto che lasciò l’auto lì dove si trovava, lottando con il pulsante per segnalare la sosta e beccando invece quello per rendere il mezzo invisibile, e lo inseguì a piedi – Kurt, io... perdonami, non è come--

– Non è come credo? E come sarebbe, sentiamo! – gridò l’altro, voltandosi furente – Mi hai ingannato! Pensavo che fossi migliore di così, pensavo che fossi solo un criminale perennemente votato alla sconfitta, ma in fondo una persona quasi decente, non un mostro che--

– Non volevo ingannarti! È successo e avevo l’occasione di conoscerti e ho pensato--

– Cosa?!

Nightbird rimase a fissarlo, sconvolto, ripensando a Cooper e ai suoi catastrofici pronostici – Aveva ragione Coop, ho sbagliato tutto.

– Abbiamo sbagliato in due – rispose Kurt, gli occhi pieni di rabbia e lacrime, voltandosi e andando via, lasciandolo lì; si costrinse a camminare ancora, fino al primo angolo, e lì non riuscì a trattenersi e si volse, guardando il criminale che stava terrorizzando la città lì, distrutto quanto lui, tanto che per un istante, per un solo attimo pensò che forse, forse poteva chiedergli di spiegarsi, chiedere davvero perché lo avesse fatto, perché Nightbird non aveva niente da guadagnare da lui e allora forse, forse...

Ma l’orgoglio ferito, il cuore sanguinante ebbero la meglio, e Kurt girò l’angolo.

Nightbird rimase in piedi in mezzo a quell’incrocio deserto e ripensò a Cooper che illustrava il suo ennesimo fallimento annunciato con la più banale delle equazioni: in una storia come la nostra esistono solo tre tipi di personaggi. Il Buono, ovvero la defunta bietola e quella che stiamo coltivando adesso, Il Cattivo, cioè tu, e La Fanciulla, che in questo caso ha le poco muliebri forme di Kurt Hummel. E l’unica, sola equazione esistente è che Il Buono conquista La Fanciulla. Fine.

Ecco, appunto.

La storia finiva lì, lì dove gli altri, i buoni che aveva incrociato sin dall’infanzia, avevano deciso che dovesse finire: perché non importava che in tutta la sua carriera si fosse sforzato di non ferire mai nessuno, spostando i suoi assurdi combattimenti con Metroman in luoghi in cui non si potesse nuocere alla popolazione, che da quando aveva preso possesso della città si fosse operato progressivamente per rimetterla in ordine, spinto da Kurt che lamentava la sporcizia e l’abbandono dei luoghi nei quali aveva amato passeggiare prima, nulla di tutto questo aveva senso, visto che alla fine era riuscito a spezzare il cuore delle uniche persone che avesse mai amato, Kurt e Cooper, e a provocare la morte del suo avversario, la cosa più simile ad un amico avesse mai avuto.

Lui non sarebbe mai potuto essere Blaine, perché Blaine non esisteva e forse, se si fosse mostrato a Kurt col suo vero volto, tutto quello non sarebbe mai successo, perché Blaine non era ciò che Nightbird non poteva essere, come aveva sempre pensato: Blaine era ciò che Nightbird era sotto la sua maschera.

Peccato che se ne fosse accorto solo adesso, ora che veniva ricacciato a forza nel ruolo che gli competeva, che gli avevano assegnato sin dall’inizio della sua storia, che si era scelto.

Lui era Il Cattivo.

E, visto che i cattivi alla fine muoiono, era il caso di darsi da fare per organizzare la sua esecuzione.


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