Stairway to Heaven ~ III. Dove assistiamo all'ennesimo piano sfigato. O forse no

William Shuester percorreva a passo di marcia il corridoio del pianterreno del suo carcere, guardandosi attorno soddisfatto di sè e di quel che vedeva: celle spartane in ordine, silenzio e rigore in ogni dove, agenti nelle loro posizioni, che scattavano sull’attenti al suo passaggio; ne beccò un paio che giocavano a carte, uno al cellulare e un altro che chiacchierava con un paio di detenuti e li rimise al loro posto con cipiglio fiero prima di riprendere la sua strada, godendosi la sensazione di potere che la sua carica gli conferiva.

Raggiunse la cella di massima sicurezza, che alloggiava da qualche giorno il loro “ospite” più illustre: superò il controllo e, aperto lo spioncino, sbirciò l’interno della stanza. Non avevano cambiato tinte o arredi negli anni (aveva ben altre spese che ritinteggiare i muri delle celle!), perciò, nel cercare il suo occupante, lo sguardo scivolò sul cielo e le aiuole verdi dipinti sui muri, la televisione spenta, lo schienale della poltrona girevole, presumibilmente vuota, visto che non si vedeva nessuno seduto, il letto, vuoto come tutto il resto della stanza…

– Hey! – gridò, facendo per aprire in preda al panico.

Lo schienale della poltrona si volse, rivelando un ragazzo con la tuta arancione da detenuto e, malgrado ciò, i capelli perfettamente tenuti in piega dal gel – Spaventato? – commentò, scoppiando poi a ridere e riappoggiando le gambe a terra.

– Hai poco da sghignazzare, tu e i tuoi scherzi idioti! – rispose piccato Shuester.

– Cercavo di ravvivare un po’ l’ambiente, mister Shue. Qui è un mortorio, dovrebbe organizzare qualcosa ogni tanto – la poltrona si volse di tre quarti e il detenuto prese a fare zapping – O almeno darsi alla tv via cavo. Non c’è verso di prendere un’emittente che trasmetta musica decente...

– Non sei in un hotel cinque stelle, casomai non te ne fossi accorto! E dovresti ricordartelo, visto che qui dentro ci sei cresciuto... beh, non molto, ma qualche centimetro l’hai preso – ghignò il direttore.

Il detenuto sollevò un sopracciglio con aria scettica – Che battuta di pessima lega, se lo lasci dire, mister Shue. E comunque all’epoca almeno su MTV davano musica ascoltabile – concluse, spegnendo la tv e poggiando ordinatamente il telecomando nella tasca della poltrona – Oh, a proposito di televisione: a che ora inizia la diretta per l’apertura del Museo della Bietola?

– Il cosa?

– Ma sì, miliardi di denaro pubblico spesi per osannare il vostro Bietolone biancovestito...

Shuester ridacchiò – Hai poco da fare lo spiritoso, Nightbird: il nostro amato Bietolone, come ignominosamente ti ostini a soprannominarlo, è un eroe, un’anima eletta...

– ... con la faccia da bietola e un cervello con le stesse proprietà intellettive – proseguì il detenuto, esaminandosi la manicure.

– ... Ai cui poteri devi il fallimento di tutti i criminosi piani che hai tentato di mettere in piedi finora! – esclamò Shuster, puntandogli contro un dito accusatore.

Nightbird alzò gli occhi al cielo – Metta giù quella mano, mister Shue, sembra Coop nei suoi momenti peggiori. Piuttosto, che ora è? Non vorrei perdermi lo spettacolo dell’arrivo di Bietolaman.

Shuester sospirò, scrollando il capo – Non cambierai mai, Nightbird. Sei nato per essere un criminale, forse per questo il Fato ti ha spedito qui dentro quando eri ancora in fasce. E comunque – proseguì, controllando l’ora su uno scintillante orologio da polso – Temo che i tuoi ottantasette ergastoli potrebbero farti tardare giusto un po’ alla cerimonia di apertura.

Nightbird sorrise divertito – Bell’orologio, direttore.

– Vero? L’ho acquistato mentre venivo qui da un patetico imbonitore – lo spioncino si chiuse – Alla prossima, Nightbird!

Il detenuto scoppiò a ridere, roteandosi sulla poltrona girevole – Patetico imbonitore! Questa devo segnarmela per la prossima litigata...

 

~*~

 

Il direttor Shuester percorse a ritroso la strada verso il suo ufficio: aveva preso qualche ora di permesso per assistere all’apertura del Museo di Metroman ed estorto a miss Pillsbury un appuntamento per l’occasione, e non intendeva arrivare in ritardo; gettò un’occhiata all’orologio nuovo (era davvero di ottimo gusto, si disse, Speriamo non sia merce rubata...) e, incurante di un lieve raggio di luce azzurrina che partiva proprio dal centro del quadrante, proseguì; salutò con un cenno del capo la guardia addetta al controllo della cella di massima sicurezza e non si fermò ad aspettare che venisse ricambiato, perdendosi quindi l’espressione sconvolta con cui quello lo guardò: si accorse che qualcosa non andava solo quando sentì l’allarme di sicurezza suonare in un tripudio di sirene e neon rossi in tutta la struttura.

– Non un’evasione oggi, ho un appuntamento! – gemette.

Con suo sollievo, un gruppo di guardie correva nella sua direzione e lui li omaggiò di un sorriso e di un – Bravi, rapidi e ligi al dovere!

Questo due secondi esatti prima che i suddetti rapidi e ligi al dovere gli piombassero addosso.

– Che diavolo fate?! – gridò, colto di sorpresa.

– Hai anche la sfacciataggine di camminartene per i corridoi come se stessi facendo una passeggiata?! – gridò una delle guardie, ammanettandogli le braccia dietro la schiena.

Uno dei suoi colleghi lo mise in piedi con uno strattone – Dove pensavi di andartene, Nightbird, a guastare la festa a Metrocity?

– Ma che diavolo state blaterando?! – ruggì Shuester, tentando di liberarsi.

Venne ricondotto, un po’ a spintoni e un po’ di peso, verso la zona di massima sicurezza, e fu solo quando si trovò a passare davanti al gabbiotto di controllo che, sconvolto, vide che l’uomo che veniva tenuto saldamente dalle guardie non era lui, ma Nightbird.

– Oh, merda, un altro dei suoi trucchi! – gemette.

I tre uomini lo ignorarono, spalancarono la porta della cella di massima sicurezza e ce lo lanciarono dentro, tentando di immobilizzarlo sulla sedia girevole.

– Non avete capito, deficienti, sono io, è un trucco di quel maledetto...!

Sbattuto sulla poltrona girevole ebbe a malapena il tempo di sentire uno strattone al polso e le guardie lo fissarono sconvolte – Ma... direttore?!

– Ci ha fregati – gemette di nuovo.

– In fondo l’ha detto, mister Shue – esclamò una voce divertita dalla porta: Nightbird era in piedi, sorridente e con l’orologio in mano – Non è colpa mia, sono nato per fare il criminale!

Detto ciò, con un colpetto al bottone laterale dell’orologio, la sua immagine cambiò in quella di Will Shuester e il detenuto, con una risata, chiuse la porta di massima sicurezza, dirigendosi con passo leggero verso il gabbiotto di controllo e, di lì, verso l’uscita.

Era uno spasso vedere come, per una volta, le porte si aprissero per lui per invitarlo ad uscire: il tempo di varcare l’ultimo limite e, messo piede fuori dal cancello d’accesso, una grossa macchina nera inchiodò di fronte a lui.

– Passaggio, scricciolo? – esclamò una voce quando la portiera si spalancò.

Nightbird riprese il suo aspetto e balzò dentro – Grande idea, Coop.

– Ma è stata tua, scricciolo – rispose l’altro, mettendo in moto.

– Mhm, forse per questo che è geniale. Tu ti sei beccato la definizione di patetico imbonitore dal nostro brillante direttore.

– Cosa vuoi che ne capisca, quello lì, di genio recitativo? – sospirò Cooper. Poi si voltò verso Nightbird, ghignando – Al museo di Bietolaman?

– Dopo, Coop. Devo togliermi ‘sta cosa di dosso, adesso! Il peggior poliestere della storia dell’umanità, con un colore che sulla tavolozza non dovrebbe neanche esistere e delle cuciture da denuncia; e poi Shuester dice che sono io il criminale...

 

~*~

 

– Buon Metroman Day, Metrocity! È una giornata meravigliosa nella nostra meravigliosa città, che ospita un meraviglioso uomo: Metroman. Il suo cuore è come… un oceano dentro un oceano più grande. Per anni, lui ci ha osservati con la sua super vista, salvati con la sua super forza e amati col suo super cuore: ora è arrivato per noi il momento di ricambiare. Sono Kurt Hummel, su testo di Rachel Berry, e sono qui per voi all’apertura del museo a Metroman. Chiudi, Dave.

– Cavolo, è incredibile il cumulo di idiozie che ti fanno dire! – esclamò il cameraman, abbassando la cinepresa e smettendo di trattenere le risate – Ok che quello è il tuo “fidanzatino”, ma un minimo di decenza quando lavori…

Kurt gli scoccò un’occhiataccia – Vuol dire che chiederò a Isabelle di lasciare a te il prossimo servizio su Metroman, che ne pensi? E comunque, come penso di aver già sottolineato mentre ero in onda e se non l’ha capito il mondo intero sono disposto a sequestrare la sede centrale del giornale per uno speciale a reti unificate in cui lo rispiego, l’articolo l’ha scritto Rachel, stupida stupida Rachel e stupido stupido me che le affido qualcosa da scrivere e non lo rileggo prima, visto che io ho dovuto risolvere un casino con il servizio fotografico dell’altro giorno. Stupida Rachel – concluse con un sibilo stizzito, camminando offeso verso il loro furgone.

– Ok, ok, scherzavo! – esclamò l’altro ragazzo, seguendolo a ruota – Volevo dire…

– Lo so, lo so, è che quell’articolo me lo ha rifilato mezz’ora fa e non ho quasi avuto il tempo di leggerlo… credevo fosse solo delirante, non così… così… perché devo sempre fare ‘ste figure imbarazzanti e trovarmi sulle copertine delle riviste con illazioni alla mia lovestory con Metroman, invece che per la mia ormai-quasi-completa collezione di moda? Perché a me?

Sospirò. Essere uno studente dell’accademia di moda non era facile e lui cercava di arrotondare lavorando al giornale della città: tecnicamente le sue mansioni avrebbero dovuto riguardare il settore moda, ma finiva sempre per doversi occupare anche di altro (malgrado lo stipendio rimanesse magro come uno stecchino comunque); quindi i servizi delle sfilate, ma anche occuparsi del caffè, delle fotocopie e persino degli articoli di quella scervellata di Rachel – che aveva accettato mugugnando la proposta di Kurt di lavorare lì con lui solo con la promessa che ogni tanto le sarebbe potuto capitare di leggere qualche esclusiva sul suo eroe, Metroman. Sì, perché era Rachel quella che aveva una stratosferica, immane, catastrofica cotta per l’eroe biancovestito della città: ma, non si sapeva per quale sfiga cosmica, quello che veniva regolarmente rapito da Nightbird e poi salvato da Metroman era lui, Kurt. Che le avrebbe ceduto molto volentieri questo privilegio,  anzi!, volesse il cielo che Nightbird se la portasse via e la rinchiudesse dentro qualche segreta ogni tanto, perché Rachel Berry in modalità “Ho un provino” era quanto di più cataclismatico potesse abbattersi sulla vita di un coinquilino – “coinquilino” anche inteso nel termine più ampio di “abitante dello stesso pianeta”.

E invece no, sospirò Kurt. Non che Metroman fosse un brutto soggetto, tutt’altro: all’inizio aveva avuto anche lui una cotta per il supereroe della città, ma poi… beh, tra un salvataggio e l’altro aveva avuto occasione di parlarci e, come dire… trovava che la sua fama fosse più affascinante di lui in carne ed ossa. Soprattutto di lui in carne ed ossa evoce.

Ma guai a dirlo a qualcuno, visto che la città era tutta innamorata di lui e Rachel gli avrebbe cavato gli occhi se avesse saputo la verità; quindi Kurt si era abituato ad essere considerato “il giornalista gay con una cotta per Metroman” e, bestemmiando sottovoce, tirava avanti nel suo lavoro part-time al giornale e, cosa più difficile, nella sua convivenza con Rachel.

Tirare avanti nella sua “convivenza lavorativa” con il cameraman che gli veniva assegnato in quelle situazioni, invece, riusciva a tratti ad essere persino peggio.

– Allora – fece la voce di Dave, alle sue spalle – Che programmi hai per la giornata?

– Assistere all’inaugurazione, fare qualche intervista e poi tornare a casa, saltare i pasti ed il sonno e tentare di finire i disegni che devo consegnare dopodomani al professore.

– Beh, dopodomani è lontano… – buttò lì con finta nonchalance Dave. Kurt alzò gli occhi al cielo: non di nuovo – E, visto che sembri pelle e ossa… come la vedi una cena? Tipo… io e te?

L’altro ragazzo si volse, sfoderando un sorriso lievemente forzato – Non che l’idea non mi alletti, ma non posso permettere a niente di danneggiare la mia pelle, tantomeno del cibo da fast food. E poi devo finire gli schizzi prima di dopodomani e dopodomani dista da adesso troppe poche ore per permettermi di fare altro che stare incollato alla mia scrivania.

Dave fece una smorfia poco convinta, ma non demorse: Kurt lo avrebbe trovato ammirevole, se il destinatario di quella corte non fosse stato lui medesimo – Da McDonalds hanno anche le insalate, no?

Kurt avrebbe voluto rispondergli che lui non si avvicinava troppo nemmeno alle porte dei fast food per paura che le particelle di grasso che aleggiavano nell’aria lo assaltassero e gli facessero prendere peso a distanza, ma gli sembrava poco carino: il cameraman, del resto, cercava di essere gentile – Sì, ma non ho tempo neanche per quello: ormai vivo nel terrore di incrociare qualcosa che mandi all’aria i miei piani di studio…

– Oh, se pensi a Nightbird, è ancora in carcere a scontare non so quanti ergastoli – rispose Dave, soddisfatto come se il criminale più pericoloso della città lo avesse sbattuto lui dietro le sbarre – E poi, insomma, ti ho chiesto solo un misero appuntamento… cioè, no, non un appuntamento, non fraintendermi--

Kurt stava per rispondergli cosa pensava dei ragazzi che chiedono un primo appuntamento durante il lavoro, in mezzo a milioni di persone entusiaste, con i bambini che sbattono palloncini a forma di Metroman sulla sua faccia (danneggiando con la loro malefica elettrostaticità i suoi capelli), proponendo McDonalds ed il suo corredo di grassi, zuccheri e famigliole urlanti come scenario, soprattutto alla luce di una sequela di ricordi non del tutto piacevoli legati a loro due ed il cibo (granite, tipo), ma venne interrotto da un suono sibilante che avrebbe dovuto ben conoscere, ma che non poté evitare per tempo neppure quella volta: la mano guantata di Nightbird sembrava infatti essere sbucata fuori dal niente, gli aveva spruzzato il narcotico sul viso e lo aveva trascinato mentre lui cadeva svenuto.

Nel mentre, Dave, di spalle e ignaro, proseguiva la sua arringa – … che poi, “appuntamento”, che parolone, come se a me tu piacessi… nel senso, tu potresti anche piacermi, però non intendo – si volse e, non trovando più il suo interlocutore, si guardò intorno – Kurt? Kurt, dove sei finito?

 

~*~

 

Kurt si risvegliò su una sedia, la familiare sensazione delle corde che lo legavano allo schienale (e subito si disse che quella frase poteva suonare molto, molto più ambigua di quanto non fosse la realtà) e, con aria scocciata, la prima cosa che si parò davanti alla sua vista annebbiata fu proprio il Signor Mando all’Aria i Tuoi Piani di Studio.

– Oh, se il professore mi boccia avrò la tua stupida testa piena di gel su un piatto d’argento, Nightbird, sappilo! – soffiò.

– Lieto anch’io di rivederla, mister Hummel – rispose il criminale, comodamente assiso sulla sua poltrona a forma di trono – Dolente di doverle rovinare un pomeriggio di studio.

– Non sai quanto potresti essere dolente, se solo io non fossi legato qui!

– Su, su, ci vorrà poco – rispose Nightbird, facendo un cenno a Cooper – Attiriamo in trappola Bietolaman, lo elimino, la città sarà mia e tu potrai tornare ai tuoi compiti.

– Oh, ti prego – gemette Kurt, alzando gli occhi al cielo – Sono secoli che ci provi e hai ottenuto solo una collezione di ergastoli. Trovarti un hobby?

– Non ci crederai, mister Hummel – commentò il criminale, voltandosi verso uno degli schermi – Ma rapirti è la cosa più simile ad un hobby che abbia. Lusingato?

L’altro sollevò un sopracciglio, sarcastico – Devo anche esprimermi?

– Coop, a che punto siamo? – disse Nightbird, ignorandolo.

– Pronti!

– E allora si va in scena.

Kurt si accasciò contro lo schienale della sedia, scocciato: sullo schermo gigante comparve il profilo del Museo di Metroman, una solida struttura a U in vetro e cemento, velata da un grande telo rosso; sul piazzale antistante la struttura, un vero e proprio tappeto di teste, palloncini, cartelli e, qua e là, furgoni di cibarie ed emittenti televisive – doveva esserci anche quello della sua tv, là in mezzo, e chissà se Dave aveva continuato a riprendere o aveva gettato la spugna quando non lo aveva più trovato.

Ad un tratto, con il sibilo di un aereo, planò dall’alto Metroman: il mantello bianco svolazzava nell’aria e non servì la zoomata dello schermo per intuire il sorriso smagliante da bravo ragazzo che gli si stendeva sul viso; la folla esplose in un boato e l’eroe, stretta la mano al sindaco, si apprestò a tagliare il nastro che doveva dare il via all’inaugurazione con i suoi raggi X.

– Megalomane – commentò Nightbird.

– Tu parli? Proprio tu? – esclamò Kurt – Tu che allestisci l’equivalente di un concerto ogni volta che decidi di farti vivo, per poi essere sconfitto e riportato a calci in galera?

– Ci vuole stile nel fare le cose, Kurt – rispose l’altro, annoiato – È questo che mi rende sempre e comunque infinitamente superiore a Bietolaman.

– Non hai il minimo senso della realtà, te l’hanno mai detto?

– Forse è la realtà ad essere sbagliata, te l’hanno mai detto? – commentò con un ghigno divertito Nightbird.

Sullo schermo, Metroman svolazzava lievemente sulla folla, ringraziandoli per la loro fiducia ed il loro amore; era impossibile non provare simpatia per lui: a tratti aveva i toni da studente rimandato che non saprebbe raccontare decentemente in un tema manco come aveva trascorso il week end, d’accordo, ma in generale sembrava semplicemente un ragazzone grande e grosso con la faccia buona e, questo Kurt doveva concederlo a Nightbird (anche se avrebbe piuttosto ingoiato la lingua, pur di dargli questa soddisfazione), un po’ tonta.

– Scricciolo, sono sfranto – gemette Cooper dalla sua postazione – Fermalo. Se Shuester dice che io sembro un patetico imbonitore, di lui cosa dice?

Nightbird scoppiò a ridere e, spinto qualche bottone e girate un paio di manovelle, il cielo sopra il museo si riempì immediatamente di nubi, oscurando il sole: sui maxi schermi che, fino a poco prima, avevano inquadrato l’eroe, comparve il volto del criminale, accolto da grida di spavento dalla folla.

– Non volevo disturbare il tuo grande momento, Metroman – esordì Nightbird, comodamente seduto sulla sua poltrona – Ma iniziavi a suonare melenso.

– Nightbird! Malefico delinquente!

– Lieto anch’io di vederti in salute. Ora, visto che avete deciso che oggi è un giorno di festa, niente in contrario che la celebrazione sia in mio onore? Ho anche invitato un ospite, guarda… – sui maxi schermi del museo, accolto da esclamazioni spaventate, comparve Kurt.

– Kurt! – esclamò Metroman – Niente paura, sto venendo a salvarti!

– Mi vedi spaventato? – rispose il diretto interessato, lievemente annoiato – Abbiamo fatto ‘sta sceneggiata talmente tante volte che inizio a non sopportarvi più.

– Falla finita – tagliò corto Nightbird – Sei l’ostaggio meno collaborativo che abbia mai avuto la disgrazia di rapire.

– E allora perché, quando ti serve qualcuno a cui dare noia, vieni sempre a cercare me?! Sai quanti milioni di persone ci sono, a Metrocity? Persone che non devono consegnare venti schizzi domani mattina, per esempio!

– Qui si parla del mio dominio della città e tu pensi a te stesso? Sei un orribile egoista!

– Almeno fammi fare un comunicato per il mio professore! Signore, giuro, finirò quegli schizzi, ma come vede la sorte mi rema contro!

– Scusate – chiamò Metroman, ancora a mezz’aria sulla folla, davanti ad uno degli schermi su cui si stava consumando il battibecco – Possiamo saltare alla parte in cui tu provi a fare qualcosa, io ti fermo, salvo il mondo e ti riporto in prigione? Anzi, saltiamo direttamente al “ti riporto in prigione”? Ci sarebbe una festa per me, qui…

– Perché devo lavorare solo con gente seccante? – gemette Nightbird, nascondendosi il viso tra le mani – Questo non sa fare l’ostaggio, tu vuoi rovinare i miei raffinati piani… mi farete venire un esaurimento nervoso! Comunque: se vuoi salvare questo rompiscatole, Metroman, devi prima trovarci.

– … Siamo all’osservatorio abbandonato – si intromise Kurt.

– Ma tenere quella bocca chiusa per più di due secondi?!

Metroman sembrava confuso – Osservatorio?

Stavolta Kurt buttò indietro la testa, ringhiando – Hai presente quei palazzi con una cupola sul tetto? Quelli da cui si vedono le stelle? Ecco, quello è un osservatorio! Quello di Metrocity è sulla costa.

– Vuoi dargli anche le coordinate per il navigatore?! Ammesso che ‘sta bietola sappia impostarlo, un navigatore! – sbraitò Nightbird, chiudendo la comunicazione.

Metroman non perse tempo: prima ancora che la folla ansiosa potesse rendersene conto, la sua sagoma bianca era sparita e si dirigeva a grande velocità verso il suo obbiettivo.

 

~*~

 

Intanto, nel rifugio, Nightbird pigiava tasti e gridava ordini a Cooper.

– Basta, dalla prossima volta sarai imbavagliato! – esclamò poi, voltandosi verso Kurt.

– Non credere che questo cambierà l’esito delle cose – rispose l’altro – Comunque, Metroman sta arrivando, posso andare? Sono ancora in tempo per finire il mio compito! Metti che il prof non fosse in ascolto, in quel momento!

Ma il criminale ghignò divertito – Sta arrivando, dici?

Con un colpetto ad una manovella, il soffitto del laboratorio si aprì: dalla lama di cielo e luce che si aprì, Kurt poté vedere palazzi, cartelloni pubblicitari e, laggiù in fondo… l’osservatorio.

– Ma…?!

– Coop, prendi una telecamera! Sono riuscito a farlo tacere, il momento va immortalato!

– Lo possiamo fare dopo, scricciolo? Bietolaman è quasi arrivato.

Sullo schermo, infatti, si poteva vedere la figura biancovestita del supereroe lanciarsi contro la cupola chiusa dell’osservatorio vero ed piombarvi dentro senza sforzo: guardandosi intorno, però, non vide il suo acerrimo nemico o il suo protetto, ma solo una grande X rossa dipinta in terra.

– Sorpreso, Metroman? – chiese Nightbird da uno schermo appeso nella cupola, davanti all’espressione stupefatta del supereroe.

– Mi hai fregato! – esclamò quello, offeso – Kurt, mi hai mandato nel posto sbagliato!

– Fammi capire, io sono la vittima rapita e te la prendi con me se non ti spiego con esattezza dove devi venire a salvarmi?! – soffiò il ragazzo, strapazzando le corde che lo legavano.

– Riuscite a stare zitti un minuto? – gemette Nightbird. Poi, rivolgendosi al suo nemico – Non preoccuparti di cercare ancora, Metroman: la tua fine è segnata! Coop, azione!

– Coop?

– Che c’è, scricciolo?

– … Ti stai sistemando i capelli, deficiente?!

– Pensavo ne aveste ancora per molto!

– Sei un deficiente!

– Ah, lui lo è? – ghignò divertito Kurt.

– Silenziati! Coop, ho detto azione!

– Hey, parla con me!

– Metroman, stai lì e attendi il tuo turno per essere disintegrato! – gli gridò di rimando Nightbird.

– Siete la parodia della parodia della parodia scadente di un film della Marvel – commentò Kurt, lievemente disgustato.

– Azione!

Qualunque cosa fosse, si mise in modo: un conto alla rovescia iniziò a scattare su uno degli schermi più piccoli e, nel giro di qualche secondo, alle spalle di Metroman, nel cielo, apparve una grande luce: l’eroe si volse, nello svolazzare del suo mantello, e…

E qualcosa andò storto.

Un’esplosione pazzesca distrusse l’osservatorio, mandando in pezzi anche lo schermo che vi era impiantato dentro: la folla che ancora attendeva davanti al Museo di Metroman si ritrovò col solo monitor che inquadrava il rifugio di Nightbird e tutti attesero che il supereroe vi piombasse dentro, immobilizzando il criminale e trascinandolo nel carcere di massima sicurezza.

Attesero, ma non arrivò nulla: qualcosa era andato storto.

Dall’apertura nel laboratorio si videro i pezzi dell’osservatorio che schizzavano in aria e poi qualcosa di un bianco accecante prese ad avvicinarsi a velocità pazzesca.

– Metroman! – esclamarono tutti, sollevati.

Ma quel che colpì Nightbird in pieno petto era solo il mantello del supereroe, che avvolgeva le spalle di uno scheletro: l’uomo gettò via con un grido strozzato quel che rimaneva del suo storico rivale e rimase ad osservarlo, sconvolto, come sconvolto era Kurt, afflosciato sulla sua sedia.

Qualcosa era andato storto, veramente storto: il Male aveva vinto.


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