Stairway to Heaven ~ I. Dove il Male scopre che i cattivi non nascono, ma si creano

Beh, diciamo che la storia non era andata bene sin dall'inizio.

Nighthawk, il pianeta natale di Nightbird, si trovava nella galassia Alpha: si trattava di un luogo in cui non esisteva il giorno, in cui solo la notte stellata, a volte limpida a volte no, come accade sulla Terra, ricopriva perennemente il cielo; i suoi abitanti si erano adattati ad un'esistenza perennemente immersa nelle tenebre, specialmente non conoscendo nulla che somigliasse al nostro concetto di giorno, dal momento che Dalton, il loro sole, emetteva calore più o meno come accade sulla Terra in inverno, ma non luce.

Nonostante ciò (o forse grazie a ciò), la tecnologia si era sviluppata in modo impressionante su Nighthawk: i suoi abitanti sembravano essere stati ricompensati dalla natura del loro mondo, che li aveva fatti nascere in un ambiente senza luce naturale e con poco calore, da un’intelligenza superiore a quella umana e decisamente versatile; la cultura, e soprattutto la tecnologia e le scienze teoriche e applicate, erano fiorite in gran numero per sopperire alle difficoltose condizioni di vita: nel giro di poche centinaia di anni, infatti, svariate invenzioni capaci di produrre calore e rischiarare la notte, in modo simile a quel che accade sulla Terra durante il giorno, avevano permesso agli abitanti di prosperare, dando loro il pieno controllo del pianeta.

Fino ad un certo punto, però: c'è poco da fare, anche per una società tecnologicamente molto avanzata, quando un buco nero si apre a poche centinaia di chilometri dall'orbita del proprio pianeta e quest’ultimo viene risucchiato dalla sua terribile forza di attrazione.

Fu subito chiaro che non c'erano speranze di sopravvivenza: nessuna navicella spaziale era in possesso di una potenza tale da riuscire a sollevarla e a farla resistere alla forza di attrazione del buco nero, perciò non c'era modo di abbandonare il pianeta prima del disastro; pur nel minimo lasso di tempo rimasto, gli abitanti di Nighthawk tentarono di trovare una soluzione, una salvezza, che non condannasse la loro razza all’estinzione, ma fu tutto inutile. Una famiglia tentò però il tutto per tutto: si trattava dei regnanti che, con un ultimo, disperato tentativo, alloggiarono in una minuscola navicella spaziale (sperando che la sua mole ridotta e il potenziamento approntato in quelle poche, ultime ore, le permettesse di sfruttare la sua massima potenza per allontanarsi dal pianeta, senza venire risucchiato con esso dal buco nero) uno dei loro androidi di forma umanoide, Cooper, affidandogli il loro unico figlio, Nightbird.

– Abbine cura, Cooper – singhiozzò la signora Anderson, poggiando tra le braccia del robot il neonato, venuto alla luce solo da pochi giorni – Nightbird è il nostro tesoro.

L'automa si accoccolò contro il petto il bambino, che fissava la scena con due enormi occhi color oro spalancati e curiosi: Coop non era particolarmente sveglio, poiché si trattava solo di un prototipo, un recentissimo esperimento del professore e di sua moglie intenzionati a creare robot in grado di provare sentimenti; lo studio, la creazione e l’installazione di programmi che gli consentissero di reagire emotivamente alle situazioni nella maniera di un abitante di Nighthawk (cioè pressoché identica a quella di un terrestre) stavano dando i suoi frutti, ma ovviamente erano stati anteposti all’inserimento di altre funzioni. Non si trattava che di un prototipo iniziale, certo, ma non avrebbero potuto affidare ad altri che a lui il loro adorato primogenito.

– Mi raccomando, figlio mio – disse il professor Anderson, stringendo la moglie in lacrime tra le braccia – Ricorda: tu sei destinato...

Ma lo sportello blindato della navicella si chiuse sulle sue ultime parole, impedendo persino a Cooper di ascoltarle: nel giro di pochi istanti i motori della navicella si accesero e, con un balzo immediato che sbatté i suoi abitanti contro una parete nonostante le cinture di sicurezza, quest'ultima si ritrovò a schizzare nel cielo a velocità pazzesca, tale da sottrarsi alla forza di attrazione del buco nero e a sfuggirgli.

Cooper controllò i sistemi di navigazione (gli erano stati impiantati programmi di base per la guida dei vari velivoli) e, proprio quando ormai il loro mezzo poteva dirsi in salvo, si avvide che un'altra navicella dalle dimensioni minuscole era in viaggio a poca distanza da loro: la sua banca dati riconobbe la tecnologia, non particolarmente avanzata, di un pianeta poco distante; al suo interno era alloggiato un neonato, un bambino dalla corporatura già massiccia, con guance rosse e l'aria placida, che a quanto sembrava era stato messo in salvo come loro da genitori premurosi. A quanto poteva analizzare, il mezzo era mosso non tanto da sistemi di locomozione avanzati, come nel loro caso, ma dagli stessi poteri psichici del bambino: forse furono questi a condurre il piccolo occupante dell'abitacolo su una traiettoria sicura verso il pianeta Terra, distante molti pochi giorni-luce da loro, mentre Cooper ebbe il suo bel daffare a gestire la situazione (il programma di pilotaggio che gli era stato installato non era aggiornato per il mezzo che gli era stato affidato, non nella bizzarra situazione in cui si trovavano) e a condurre verso un posto sicuro, dove qualche umano avrebbe avuto cura del piccolo Nightbird, la sua navicella.

Infatti, mentre il piccolo straniero piovve delicatamente nel giardino di una casa graziosa, dove una paffuta e materna donna dai capelli rossi stendeva il bucato, i due sfortunati abitanti di Nighthawk finirono nel cortile del Carcere di Massima Sicurezza per Criminali Dotati di Metrocity.

 

~*~

 

In realtà le cose sarebbero potute andare peggio: scambiati per un prigioniero con annessa prole, dalla quale non sembrava intenzionato a separarsi e che non poteva quindi essere data in affido, Cooper e Nightbird crebbero nel carcere di Metrocity.

Crebbero, perché all'automa era stato installato un programma di apprendimento utile ad insegnargli con l’esperienza diretta quel che non poteva essergli impostato tramite il normale inserimento di dati, e perché il bambino, beh... vissuto sin da subito in un luogo in cui il crimine era considerato bene e ogni forma di attinenza alle leggi costituite male, Nightbird venne su con una mentalità scaltra, eccezionalmente intelligente e naturalmente votata al misfatto, di qualunque tipo – e senza vi fosse in lui la benché minima malizia nel compierlo: ideava piani di evasione, truffe, annientava i sistemi di allarme e di sicurezza del carcere esattamente come un bambino cresciuto in maniera normale avrebbe orchestrato ingenue marachelle o giochi di pirati e cavalieri col solo ausilio di bastoni e fazzoletti.

Sarebbe stato lodato per la sua incredibile intelligenza, forse, se i suoi piani non avessero provocato più e più volte la fuga di svariati criminali; vista la situazione, la faccenda fruttò solo svariate decadi di carcere a Cooper (che per anni venne creduto l’unico autore dei misfatti) e, consequenzialmente, a lui.

Poco male, pensarono entrambi: Coop non aveva ben chiaro in che razza di posto erano finiti e la gente là dentro sembrava simpatica – più che altro perché erano convinti che lui fosse il padre del bambino e che fosse una così brava persona da non averlo abbandonato (e c’era da dire che molti detenuti avevano lasciato figli a casa o in giro per il mondo, oppure erano stati abbandonati in tenera età da padri menefreghisti, e quindi un simile comportamento fece subito presa su di loro). Quanto a Nightbird… chi, per quanto rude e incattivito dalla galera, poteva non provare un moto di tenerezza davanti ad un frugoletto con enormi occhioni dorati, riccioli neri, che sapeva fare “ciao ciao” con le manine paffute ed elargiva enormi sorrisi sdentati anche ad energumeni con facce truci e ricoperti da testa a piedi di tatuaggi inquietanti?

Insomma, nel bene o nel male, i due extraterresti vennero “adottati” dai criminali del carcere.

Quando Nightbird compì sei anni il direttore, mister Shue, decise che era il caso di permettergli di frequentare la scuola: ogni mattina due guardie giurate lo scortavano nella piccola scuola di Miss Emma, distante pochi isolati, e lo andavano a recuperare alla fine delle lezioni.

Il bambino sarebbe potuto essere il cocco della maestra, se solo fosse riuscito a rapportarsi con gli altri: purtroppo era difficile, in una classe che era già formata da tre anni di asilo insieme, e che, soprattutto, aveva come piccolo leader Finn Hudson.

A Finn Nightbird non piaceva: lo prendeva in giro perché, mentre lui era un bimbo alto e un po’ paffuto (per via dell’ottima cucina di sua madre Carole), l’altro era più basso e mingherlino; perché Miss Emma aveva un’attenzione particolare per lui, dal momento che, sapendo da dove veniva, cercava di trattarlo con gentilezza e non metterlo in imbarazzo; perché l’altro bambino aveva un nome strano e degli occhi ancora più strani; e poi perché era più intelligente: laddove Finn impiegava giorni per imparare una lezione, il nuovo arrivato sembrava in grado di ripeterla a memoria in un battibaleno.

Probabilmente, se fossero stati più grandi o avessero anche solo potuto vedere la loro situazione dal di fuori, Finn sarebbe stato più gentile nei suoi confronti: purtroppo però aveva solo sei anni, non era particolarmente abituato all’empatia nei confronti di chi non gli andava a genio com’è normale a quell’età, e si vedeva portare via parte dell’attenzione di cui invece aveva sempre goduto sin dal suo primo giorno di asilo, perché agli occhi degli altri bambini lui era un eroe. Infatti, esattamente come i supereroi dei fumetti, il piccolo Hudson aveva una forza incredibile, occhi che potevano lanciare raggi laser, e sapeva volare: il fatto che Nightbird riuscisse a batterlo in qualunque interrogazione, a leggere più velocemente di lui e a fare a mente conti che a lui riuscivano impossibili persino con la calcolatrice, lo infastidiva. E quindi, com’è purtroppo normale tra bambini, la rivalità divenne una piccola guerra fatta di dispetti e prese in giro nella quale, almeno finché non si decise a cambiare registro, Nightbird finiva sempre sconfitto: era il nuovo arrivato, era antipatico al bambino più popolare della loro scuola formata da un’unica classe, e quindi veniva automaticamente emarginato da bambini che magari avrebbero potuto voler diventare suoi amici, posti in altre situazioni.

Come risultato, Nightbird passava il tempo da solo, in un angolo della classe, a studiare o a ideare piani per modificare qualunque cosa stuzzicasse la sua curiosità: piani che purtroppo, complici la sua giovane età e l’ambiente non propriamente positivo in cui si trovava a vivere, finivano sempre per esprimersi al peggio delle loro possibilità. L’unico con cui poteva giocare era Cooper, ma Cooper era un adulto e non poteva seguirlo a scuola: quelle interminabili mattinate diventarono quindi un susseguirsi di noia, disastri, castighi e mortificazioni.

– Sei proprio un bambino cattivo! – lo sgridò un giorno Finn, in seguito ad un nuovo esperimento che Nightbird aveva presentato: nelle notti insonni passate a tentare di scovare un sistema per farsi accettare dai suoi compagni di scuola aveva creato una pistola per disidratare gli oggetti e l’aveva messa in uso sul pesciolino rosso della classe, che in effetti era stato ridotto ad un quadratino minuscolo – ed era anche tornato normale dopo essere stato ributtato nella sua boccia, ma la scena aveva spaventato talmente tanto i bambini e intontito la bestiola che lui era stato accusato di aver tentato di ucciderlo ed era stato messo in castigo. Di nuovo.

Non era la prima volta che gli si diceva che era un bambino cattivo: era un rimprovero che gli era stato mosso spesso, anche da Mister Shue, ma quel giorno, semplicemente, qualcosa scattò nella sua mente: lui era cattivo? Davvero davvero? Ecco perché tutti i suoi tentativi di risultare simpatico agli altri facendo per loro cose carine non portavano a niente! Perché lui era cattivo e i cattivi non fanno cose buone per il prossimo, giusto? I cattivi fanno cose cattive e le cose cattive agli altri non piacciono: non faceva una piega.

E poi, si disse, guardando come Finn si pavoneggiava con gli altri bambini, se quello voleva dire essere buoni… beh, a lui non andava. Finn non gli piaceva e se Finn era un bambino buono, beh… allora lui forse non voleva nemmenoesserlo un bambino buono: perché Finn Hudson era tonto, non imparava mai un accidente di quel che si diceva a lezione, ma si faceva forte dei suoi superpoteri (che non erano frutto di lavoro e ingegno, come nel caso delle sue invenzioni, perché ci era semplicemente nato e non aveva fatto alcunché per meritarseli) e della sua popolarità per trattare male non solo lui, ma anche gli altri bambini che gli stavano antipatici perché avevano detto qualcosa che non gli era piaciuto.

Beh, se quello era essere buoni… faceva proprio schifo, decise. E poi era quello che gli dicevano sempre i suoi “zii” del carcere, quindi doveva per forza essere vero.

E se pensavano che lui fosse un bambino cattivo, oh, allora lo sarebbe stato! Avrebbe imparato a rimettere a posto quel branco di pecore che seguivano Finn ciecamente, senza chiedersi se ciò che faceva o diceva era sbagliato o no, e avrebbe dato una lezione a tutti: allora avrebbero potuto dire, a ragione, che lui era cattivo! Perché se c’era una cosa di cui Nightbird era sicuro era che il suo cervello poteva permettergli di arrivare dove voleva e ottenere tutto quello che voleva: se quindi decideva di essere cattivo, lo sarebbe diventato.

Meglio: sarebbe stato il più cattivo di tutti.

Sarebbe stato il Re dei Cattivi.

 

~*~

 

Il successo gli arrise nel giro di neppure due giorni: Cooper se lo vide tornare in cella con le manette, scortato da un Direttore con i capelli dritti per la furia, un sorriso beato che non gli aveva mai visto di ritorno da scuola e sbaffi neri sul viso.

– Ha distrutto la scuola! – ruggì Shuester – Come diavolo fa un moccioso di sei anni a far saltare in aria un edificio con quello che c’è in uno sgabuzzino?!

Cooper lo fissò perplesso – Devo rispondere io? Perché è lo scricciolo quello intelligente, io mi accontento di essere meraviglioso.

Nightbird alzò gli occhi al cielo – È una domanda retorica, Coop, non serve che rispondi. Anche perché l’ha fatta venti volte, finora.

– Emma! La mia Emma era… distrutta! L’hanno trovata che tentava di riordinare le macerie e pulirle con un fazzolettino! Si murerà in bagno per i prossimi mesi e addio alle mie speranze di uscirci questo week end!

– Tanto non ci sarebbe uscita comunque – bofonchiò il bambino, annoiato.

– Tu! – ringhiò Shuester, puntandogli contro un dito – Piantala di fare il simpatico, moccioso! Ti terrò chiuso qua dentro più anni di quanti tu ne sappia contare!

E, detto ciò, uscì, sbattendo la porta blindata della cella.

– Che hai combinato, scricciolo? – commentò Cooper, tornando a fare zapping alla tv.

– Mi hanno espulso da scuola – rispose il pargolo, ghignando beato – Cioè, da quello che ci rimane: le fondamenta, una maestra scema e un branco di bambini stupidi.

– Perché? Ti divertivi a studiare, no?

Nightbird si arrampicò sul letto, dondolando le gambe e fissandosi con attenzione le scarpe impolverate – Studiare sì. Ma la scuola no.

– Perché?

Il bambino si strinse nelle spalle.

– Oh, non fare il pesce rosso con me, scricciolo.

– Non sai neanche com’è fatto un pesce rosso, Coop, non li hai mai visti dal vivo.

– Piantala! – esclamò l’uomo, puntandogli un dito contro il naso.

– Piantala tu con ‘sto vizio di puntare! Guarda che ti do un morso!

Cooper sollevò un sopracciglio e poi, come faceva quando giocavano alla lotta, afferrò il pargolo per le caviglie e lo tenne a testa in giù – Parla!

Nightbird, senza scomporsi, incrociò stizzito le braccia – Non mi piaceva quella stupida scuola, ok? Perciò l’ho fatta saltare in aria mentre erano tutti fuori a fare ricreazione, così non devo più andarci. Contento adesso?

L’automa lo rimise delicatamente giù – Perché, scricciolo? Eri contento di andarci. Di uscire da qua per qualche ora, di studiare, di stare con gli altri bambini…

– Gli altri bambini fanno schifo – bofonchiò Nightbird – Tutti dietro a quello… quello stupido di Hudson.

– Il bambino grande, grosso e tardo?

La descrizione (che tra l’altro aveva coniato lui stesso una volta) lo fece ridere – Sì, quello. Dice che lui è unbambino buono e io sono cattivo, perciò non posso mai giocare con gli altri e tutto quello che faccio non va bene.

– In base a cosa stabilisce che sei cattivo? – chiese Cooper, perplesso: la sua banca dati si basava sull’apprendimento diretto dal mondo che lo circondava e, visti gli standard dell’unico luogo in cui suddetto apprendimento avveniva da sei anni a quella parte, non capiva che accidenti potesse fare un bambino per essere definito cattivo; il suo protetto era educato, d’accordo, ma non era un giudice, nè un poliziotto, né un cacciatore di taglie o uno spione.

Nightbird si strinse nelle spalle – Boh. Però è vera una cosa, Coop: che se io sono cattivo… allora è fantastico! Perché vuol dire che so cosa voglio fare da grande!

– Cioè?

– Il Cattivo! – esclamò il bambino, estasiato – Saremo cattivi e faremo tutto quello che ci pare e la gente avrà paura di noi e sarà costretta a rispettarci! E avremo un sacco di soldi e potremo comprarci tutto quello che ci piace!

L’automa rifletté per un attimo: non aveva molto chiara la differenza “morale” tra essere buono o cattivo, quindi se il suo scricciolo voleva essere cattivo…

– D’accordo, faremo i cattivi – esclamò divertito, come quando giocavano a Facciamo Finta che (gioco che veniva benissimo lì nella loro cella di massima sicurezza, con i muri dipinti come un prato con sopra il cielo – cortesia delle assistenti sociali – due letti, un televisore e un bagno, perché quel nulla era proprio il set ideale per immaginare qualunque cosa) – Da dove si comincia?

Il pargolo gettò le braccia in aria, felice come non si sentiva da quando aveva messo piede in quella stupida scuola ed era stato emarginato e deluso da tutti – Cominciamo a studiare un modo per uscire di qui e vivere per conto nostro! Non si può fare i cattivi se si sta in carcere, è proprio l’ultimissimo posto in cui si vuole finire.

– Ok: tu decidi e io attuo – rispose Cooper, strizzandogli un occhio.

Nightbird rise e gli si arrampicò in braccio: era fatta, adesso aveva uno scopo; a sei anni può non sembrare chissà cosa, ma se non si ha nient’altro e non ci sono neanche speranze di averne, uno scopo può diventare tutto.

Aveva imparato che i cattivi perdono sempre, che vengono puniti, che nessuno vuole loro bene: ma tanto lui viveva in una cella di massima sicurezza da quando aveva memoria, veniva punito anche quando non faceva niente di male (a scuola, visto che nella sua testa essere rinchiuso là dentro non contava come punizione, era semplicemente… così) e aveva Cooper, e Cooper non avrebbe mai smesso di volergli bene. Non gli serviva nient’altro, per essere felice.

Tranne imparare ad essere un vero Cattivo.


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