Stairway to Heaven ~ X. Dove il Male scopre che anche un cretino può insegnare qualcosa - tipo che hai sbagliato tutto nella vita. O che avete sbagliato in due

Era stata una conversazione... strana.

Si aspettavano tutti e due astio, tensione, e invece niente, a parte un vago imbarazzo iniziale avevano preso a parlare con i toni dei primi tempi della loro frequentazione; finirono per bere un tè seduti ai lati opposti, quanto più lontani possibile, del divano di Kurt, mangiare qualche biscotto e poi scassinare un’auto.

– Non ci credo che lo sto facendo, non ci credo – continuava a ripetere Kurt, le mani premute sugli occhi, mentre dietro di lui Nightbird faceva scattare la serratura di un’auto con uno degli aghi del suo set di cucito d’emergenza.

– Non stai facendo niente, tu, rilassati – ripeté il criminale, sfinito, aprendo la portiera e utilizzando i due cavi sotto il cruscotto per mettere in moto. Poi, come se fossero ad un appuntamento, uscì, fece il giro dell’auto e gli aprì la portiera.

– Hai usato uno dei miei aghi! Sarò processato per questo! Ma cosa importa a te, tu hai più ergastoli di quanti ne sappia contare!

– Kurt, stai diventando isterico. Sali.

– E se qualcuno mi vedesse in macchina con te? Eh? Verrei accusato di connivenza!

– Connivenza in cosa, girare la città in auto? Un crimine nuovo per il quale non sono mai stato processato, fantastico! Adesso puoi salire?

Kurt si lasciò cadere sul sedile, arrossendo nonostante l’assurdità della situazione, la borsa stretta al petto.

– D’accordo. Dove devo andare?

– ... mi spieghi perché guidi tu, se la strada la conosco io?

– Perché ho impiegato nove minuti e ventisette secondi per farti salire in macchina, non volevo affrontare altre ore di conversazione per convincerti anche a guidare.

Continuarono a battibeccare ancora un po’, finché non si avvidero del fumo che si levava qua e là tra i palazzi, gli elicotteri dell’esercito che sorvolavano la città e, soprattutto, un’interminabile colonna di auto imbottigliate che ingombrava del tutto la corsia che puntava verso l’autostrada, tanto che molte persone avevano deciso di abbandonare il proprio mezzo e trasportare zaini, valige e grossi involti dei loro averi a piedi. Non c’era da stupirsi: nell’aria lievemente arancione del primo tramonto Metrocity sembrava ardere tutta come in uno di quei kolossal catastrofici – e la situazione in effetti non si discostava di troppo; non avevano un Godzilla ad abbattere i palazzi, ma un supereroe che sembrava dimostrare di non voler essere meno distruttivo.

Kurt si rannicchiò involontariamente nel sedile, lanciando un’occhiata a Nightbird, che guidava assorto, lo sguardo sulla strada ma la mente altrove; la loro carreggiata era deserta, perché stavano deviando verso la periferia; per tutta la durata del viaggio, in cui paesaggio virò dai grattacieli, alle villette residenziali, alle casette basse con giardini un po’ disordinati, ad un principio di campagna, non dissero una parola, il silenzio interrotto solo dalla voce di Kurt che indicava il percorso.

– Eccoci – disse infine – È laggiù.

Nightbird fece una specie di risata strozzata dall’incredulità – Non ci posso credere.

L’auto sostò a pochi metri dal rudere di una casetta, il tetto rosso ormai sbiadito ad un arancione con tegole sconnesse, il bianco lavato e crepato dagli agenti atmosferici negli anni, le finestre con le imposte su cui si potevano vedere ancora tracce dei disegni di vernice colorata, uno scivolo mezzo rotto ed una giostrina traballante sul terreno invaso di erba alta: si poteva leggere ancora, in cima al portone, un cartello che un tempo doveva essere stato dipinto a colori vivaci.

Nightbird rimase a guardarla pensieroso ed incredulo, le braccia incrociate sul volante ed il mento poggiato sopra.

– Perché?

– Perché questa è la mia vecchia scuola, Kurt.

 

~*~

 

– Fammi capire... che nesso ci sarebbe tra questo posto, che Metroman mi ha detto essere il suo preferito, e la tuascuola?

– È... complicato.

– Direi che è un aggettivo che può applicarsi ad ogni benedetta cosa che riguardi te o noi.

– ... c’è ancora un noi? Davvero?

– Non siamo qui per questo! – sbottò Kurt, uscendo dalla macchina e avviandosi verso il cortile malmesso dell’ex-scuola, nel tentativo di nascondere ogni traccia di emotività.

Nightbird sospirò e scese lentamente: non era capace di fare ‘ste cose, lui; dategli uno spinterogeno, quale bullone e un po’ di roba a caso ed era perfettamente in grado di costruire un mezzo di trasporto, ma chiedergli di recuperare una relazione era impensabile – non aveva neanche chiare le dinamiche dello stare insieme ad una persona, figurarsi raccattare i cocci e rimetterli insieme. E comunque, guardando verso la città, rossa di tramonto e di fiamme e sirene, non era nemmeno il momento.

– Mettiamola così – iniziò lentamente – Io e Metroman siamo... suona agghiacciante, lo so, ma andati a scuola qui. Insieme. Cioè, non era qui, penso ci si sia trasferita quando l’ho quasi fatta saltare in aria come regalo d’addio, ma il cartello parla chiaro.

– Sei sempre stato straordinariamente portato alla socialità ed alla preservazione della proprietà pubblica, vero?

– Sono anche sempre stato emarginato qua dentro, Kurt – lo rimbeccò Nightbird, attraversando il vialetto, che sembrava l’unica parte sgombra di erbacce – Venivo portato qui ogni mattina da due guardie giurate, che mi toglievano le manette prima di farmi scendere dalla macchina blindata, e ammetto che l’arancione della divisa del carcere non si intonava particolarmente bene con il mio incarnato...

– Aspetta, aspetta, tu eri in carcere sin da bambino? Che avevi fatto?

– Io ci sono nato in carcere, Kurt. O meglio, io e Coop ci siamo finiti dopo che il mio pianeta natale è stato risucchiato da un buco nero, Coop diceva che avevo circa otto o nove giorni; sono cresciuto nel carcere di massima sicurezza di Metrocity e ci sono rimasto fino al giorno in cui mi sono stancato di stare lì e ho iniziato a progettare la mia brillante carriera.

– Non... non me l’avevi mai detto.

– Non vado a raccontare i miei poco brillanti esordi nel mondo del crimine alla stampa; e non sarebbe stata una storia accettabile neanche se te l’avessi raccontata nei panni di B- di quell’altro.

– Quindi... ti ha davvero cresciuto Cooper?

– Sì. Non ti ho mai mentito, Kurt, ho solo... omesso quando non potevo dirti per intero come stavano le cose.

– E quindi quando mi dicevi che a scuola non piacevi a nessuno...

– Non è molto facile fare amicizia con bambini che già si conoscono, specie se hai addosso la tuta arancione-orrendo del carcere di massima sicurezza, non hai gli stessi giocattoli che hanno loro, non guardi i loro stessi film, non hai mammina che ti fa le torte e papino che ti porta alle partite. E soprattutto se tutti adorano uno stupido bambino con i super poteri che ha deciso che ti detesta perché lui ci mette un quarto d’ora a finire di leggere una paginetta scritta a carattere sedici e interlinea due e tu invece hai già finito tutto il libro.

– ... Un bambino con i super poteri?

– E, come dire... quando tutti ti ripetono che sei cattivo anche se fai del tuo meglio, alla fine pensi non solo di poterlo essere, ma che esserlo sia l’unica strada percorribile – e io ho messo parecchia cura nell’essere all’altezza della mia scelta. E sai chi era il capo del Tribunale Speciale che aveva deciso che io dovevo essere tenuto a distanza di sicurezza e considerato pericoloso, Kurt?

Il ragazzo lo scrutò mordicchiandosi un labbro, perché sapeva esattamente cosa scatta nei gruppi, sia di bambini che di adolescenti o adulti, in quei casi, perché era successo anche a lui, ma la sua situazione era – beh, non proprio rose e fiori, ma di sicuro meglio di essere nato in un carcere con solo un robot a crescerlo e dei criminali intorno. E le tute arancioni. Brrr. Le aveva viste solo in foto, al tg o nei film, e nessuno sarebbe potuto sembrare decente con quella roba addosso; e il pensiero di un bambino, con i capelli ricci incasinati e gli occhi color ambra e quella roba addosso e le manette... gli si riempirono gli occhi di lacrime e gli venne un crampo allo stomaco così forte da mozzargli il respiro.

E poi, come se non bastasse... il bullo che lo tormentava e che l’aveva fatto scappare dalla scuola poteva essere solo una persona.

– È tutto assurdo... – sussurrò.

– Io lo troverei ironico – gnignò invece Nightbird, anche se non riusciva comunque a nascondere l’amarezza del suo tono – Il Cattivo instradato dall’Eroe Buono.

– E lui sapeva...?

– Certo. Come io ho sempre saputo. L’unica cosa che mi era sfuggita era che lui era solo un bambino stupido e poi è cambiato, tirando fuori ciò che aveva dentro davvero... – gettò un’occhiata sconfortata alla città – Va beh, ormai. Entriamo e vediamo che diamine c’entra ‘sto posto infernale con lui.

 

~*~

 

L’interno era polveroso e malmesso: dopo l’atrio con le rastrelliere per i cappotti ed il porta ombrelli a forma di cigno, entrarono nella grande stanza che veniva usata per le lezioni e, quando i banchi venivano spostati in un angolo (com’erano in quel momento), per giocare o fare attività al chiuso. La lavagna, la cattedra, con ancora il pacchetto di fazzolettini disinfettanti di miss Emma (la confezione impolverata e dal contenuto ormai sicuramente secco), il mobile composto da grandi cubi tutti uguali in cui venivano riposti i libri, i giochi da tavola, e in fondo le ceste con i giocattoli...

Kurt rabbrividì un po’, quel posto sembrava il set di un film dell’orrore, e Nightbird invece si guardava intorno assorto: chissà cosa gli passava per la testa, si disse; forse ricordi brutti, magari qualcuno bello, magari ripensava alle scelte che aveva fatto e se ne pentiva, o chissà cosa. Quell’uomo era un mistero e lui non poteva fare a meno di sentirsene attratto (fastidioso sentimento indesiderato) malgrado la sterminata sfilza di ottime ragioni per cui suo padre, piuttosto, glielo avrebbe tolto dalla testa mediante omicidio e quindici anni di terapia pagati in anticipo; poteva proprio figurarsi mentre lo portava al pranzo di Natale e lo presentava a Burt con parole tipo Papà, ti ho mai parlato di Nightbird, il mio fidanzato pluriergastolano evaso? oppure Cosa fai nella vita, ragazzo?, Tento di conquistare il mondo ed un posto come Genio del Crimine nella storia, signore.

Il cuore di Burt non faceva i capricci da anni, ma avrebbe fatto un’eccezione per un’occasione così speciale, ne era sicuro; e suo padre sarebbe comunque riuscito a trovare le forze (soprattutto la voce) per urlare Carole, il mio fucile! e cazziarli entrambi fino all’arrivo dell’ambulanza, con i portantini che avrebbero lungamente dibattuto su chi avesse bisogno di soccorso, se l’uomo cardiopatico o quello più giovane crivellato di fucilate ed in totale stato di shock.

Non era decisamente il caso di pensarci.

Nightbird si muoveva in quel posto come un fantasma: era tutto così irrealmente diverso e identico ai suoi ricordi che aveva il terrore di toccare gli oggetti e scoprire che poteva passarci attraverso; non aveva bisogno di aggiungere altri traumi alla sua collezione, perciò si impose di cercare piuttosto qualcosa che spiegasse perché diavolo, di tutta una metropoli, Metroman avesse dei legami ancora con quel posto. Ispezionò l’ingresso, la sala di studio e di gioco e non trovò nulla: si mosse verso la cucinetta e anche quella non rivelò soprese, così come il bagno; fu solo quando spinse la porta che dava sullo stanzino che era stato l’ossessivamente immacolato studio di miss Pillbury che si accorse che qualcosa non andava.

– Quell’armadio non c’era.

Prima che Kurt potesse dire qualcosa si avvicinò e lo spalancò, trovandosi di fronte ad una botola posizionata sul fondo al cui centro si ergeva, infisso nel soffitto dell’armadio, un palo.

– Sembra uno di quei cosi che usano i pompieri – disse Kurt, perplesso.

Nightbird invece scoppiò a ridere: non c’era andato lontano, quando aveva pensato che quello avrebbe potuto essere il futuro di Metroman, se questi non avesse avuto i suoi poteri; si avvicinò alla pertica, scrutò il buio là sotto, e poi si aggrappò alla sbarra, incrociò le gambe attorno ad essa, e si lasciò scivolare.

– Hey! – esclamò la voce sorpresa di Kurt – Che diavolo fai?!

– Si era detto di esplorare, no? È quel che sto facendo.

– E come pensi che io possa scendere da questo coso?

– ... come ho fatto io? Mani sulla pertica e gambe attorno ad essa... Non hai mai visto un film sui pompieri?

– Sai quanto spendo in crema idratante per le mani e quanto costano questi pantaloni? Puoi anche togliertelo dalla testa! E come pensi di risalire, poi?

– Invece di ringraziare che Metroman fosse abbastanza caso umano da preferire realizzare un capriccio infantile invece di volare direttamente anche per decine e decine di metri ti lamenti?

Kurt incrociò le braccia con aria scocciata – Io di lì non scendo.

Nightbird alzò gli occhi al cielo e, accesa la torcia che aveva su uno dei bracciali attorno ai polsi, iniziò a farsi strada lungo il percorso illuminato.

– Non puoi lasciarmi qui! Nightbird, mi hai sentito? Non puoi!

– Lo sto già facendo! – gli gridò rimbombando la voce che si allontanava.

– Scendo! Ho detto che scendo! Ma tu torna qui e dammi una mano!

La luce tornò indietro e il capo scuro di Nightbird rientrò nel cerchio di visibilità della botola – Non abbiamo tutto il giorno, sai? Mani sulla pertica, forza.

Dopo lunghi No, fermati, non mi sento pronto e Non posso riuscirci e ancora Dio, se mi ustiono le mani te la farò pagare, Kurt riuscì a scivolare di sotto – afferrato per la vita prima di atterrare poco piacevolmente sul fondoschiena; si rimise in piedi con aria offesa, controllò eventuali danni usando la torcia fissata sul braccio di Nightbird come se non vi fosse attaccata una persona e la puntò verso il corridoio buio.

– Prego, eh.

– Oh, per favore, mi hai trascinato tu in questo casino. Piuttosto, ma come gli hai dato i poteri non puoi toglierglieli?

– No, avrei bisogno della pistola installatrice.

– E?

– Ed è rimasta nella macchina, che avevo settato su “invisibile” quella sera del nostro appuntamento. Quando ti ho inseguito per parlarti e tu non ti sei neanche voltato.

– Scusa sai, se ero leggermente sconvolto e furioso.

– Non ho detto che non dovevi esserlo! Solo...

– Non gesticolare con quel braccio, non si vede niente!

– Hai ragione, hai ragione.

– Comunque...

E la frase gli rimase bloccata così perché la torcia aveva illuminato, là in fondo, una porta; i due allungarono il passo, quindi Nightbird gli fece cenno di rimanere indietro e, ascoltato per qualche secondo se si udivano rumori dall’altro lato, forzò la porta e l’aprì.

... e si trovarono davanti ad un assurdo salone rotondo.

Sembrava di essere finiti dentro la suite di un hotel, un hotel decisamente bizzarro, perché sparsi qua e là non c’erano solo un frigo, divani, consolle e videogames ed una batteria, ma anche mantelli e accessori vari che Metroman aveva utilizzato nel corso degli anni.

– Sembra il museo di un collezionista pazzo... – commentò Kurt, guardandosi intorno perplesso e un po’ schifato.

– Non capisci, questo è il suo rifugio segreto – esclamò Nightbird al settimo cielo, inziando ad esaminare una teca per volta, esclamando di volta in volta Oh, mi ricordo quando indossava questo e Questo lo aveva quando mi portò in prigione per la prima volta: sembrava un bambino la mattina di Natale, incredulo e felice e incapace di decidere quale regalo aprire per primo; Kurt rimase ad osservare lui e quindi la stanza, soffermando la sua attenzione su un basso tavolino di fronte ad uno dei divani su cui, in un grosso boccale, dei cubetti di ghiaccio galleggiavano su una bevanda che sembrava essere birra.

Un momento: ghiaccio?

– Guarda qui! – esclamò, balzando vicino al tavolo – Ghiaccio!

Nightbird lo considerò lievemente scocciato, interrotto nella sua esplorazione – Sì, Kurt, è un fenomeno che si verifica quando l’acqua raggiunge temperature inferiori allo zero.

– So benissimo cos’è il ghiaccio, grazie tante. Ma se Metroman è sparito da mesi mi spieghi perché nel suo bicchiere il ghiaccio non s’è ancora sciolto?

Questo sembrò distoglierlo: Nightbird mollò l’osservazione del cinturone che il supereroe aveva utilizzato prima di modificare il suo ultimo costume e raggiunse Kurt, osservando stupefatto i tre ghiaccioli nel boccale – e non poteva trattarsi di quelli di plastica, perché il loro volume era chiaramente disuguale, segno che si stavano gradatamente sciogliendo.

– C’è qualcuno, qui – sussurrò ad un tratto il criminale. Prima che Kurt potesse chiedergli qualcosa, Nightbird lo afferrò per un braccio e se lo tirò dietro, voltandosi verso la porta che fino a quel momento era rimasta alle loro spalle: la figura di fronte a loro, alta ed imponente e vestita di jeans sdruciti e una t-shirt sformata, alzò le mani.

Ma questo non impedì ai due di urlare a pieni polmoni.

– Calma ragazzi, solo... calma.

– Tu! – balbettò Kurt.

– Io ti... ma tu dovresti...

In piedi di fronte a loro Metroman (perché quello non poteva essere altri che lui) si strinse nelle spalle come un ragazzino colto con le mani nella scatola dei biscotti a dieci minuti dalla cena – Posso spiegare.

– Spiegare? – balbettò ancora Kurt.

– Spiegare cosa?! – ruggì invece Nightbird, balzando in piedi – Tu sei vivo?! Dopo tutte le notti insonni, il senso di colpa, Cooper sparito, aver creato un imbecille che dovesse prendere il tuo posto e avendo ottenuto invece un criminale che distrugge tutto, tu sei ancora vivo?!

– ... amico, stai respirando male?

– Si dice iperventilare, razza di... non ci posso credere, sei vivo.

– Detto così la fai sembrare una cosa brutta.

– Sono sotto shock, d’accordo?!

– Come puoi essere vivo? – esclamò Kurt, tentando di riprendersi – Ti abbiamo visto! Lo scheletro addosso al mantello, cioè il mantello addosso allo scheletro...

– Ah, quella è stata proprio una figata, eh? – lo interruppe Metroman, estremamente soddisfatto di sé.

– Mi hai fatto morire di spavento! – gridarono gli altri due, quasi all’unisono.

– E per tutto questo tempo sei rimasto chiuso qua dentro? – chiese Nightbird, cercando di riprendere fiato. Non avrebbe saputo dire se gli sembrava un sogno o un incubo, ma vedere quella specie di colosso lì in piedi, in una maglietta che sembrava aver visto giorni migliori (e un sacco di cibo spazzatura), l’espressione tonta e bonaria che li osservava, si sentì... come ai vecchi tempi. Quando il mondo era tranquillo e filava nella direzione giusta, anche se era invariabilmente contraria alla sua.

– Ok, sentite, vi devo delle spiegazioni, quindi... mettetevi seduti. Qualcosa da bere?

– Dubito che tu abbia del té, vero? – chiese speranzoso Kurt.

– Perché dovrei, stai male di stomaco?

– Fingerò di non aver sentito.

– Ricominciamo da capo – li interruppe Nightbird – Quel giorno, all’osservatorio: il mio raggio quindi non ti ha colpito?

– Se sto qui adesso, amico...

– Ma allora... perché?

Metroman sospirò e per un attimo sembrò che la sua ampia figura si stesse accartocciando su se stessa; poi fissò uno sguardo strano sul suo antico rivale, finalmente serio, quasi triste – È che... non ti sei mai sentito in trappola?

Nightbird lo squadrò sorpreso – Durante uno dei miei soggiorni in carcere? Non era quello lo scopo?

– No, dico... in generale. A fare le cose che fai di solito, che hai sempre fatto, tipo cercare di conquistare il mondo, creare casini, affrontare me, rapire lui... – e indicò Kurt – Quelle cose lì?

Il criminale considerò un attimo le sue parole - ... no?

– Beh, io sì. Da quant’è che facciamo questa cosa che io sono l’Eroe e tu il Cattivo? È una vita che andiamo avanti così e per un sacco di tempo è stato divertente, non ti offendere, solo che ad un certo punto è diventato... com’è che dici tu, senza scopa?

– “Senza scopo”, forse?

– Sì, quello. Non mi divertivo più e poi... boh, non sembravamo manco più convinti noi. Io, almeno. Era sempre la solita cosa: tu fai casino, io ti fermo, ti arresto, ti porto dentro e poi dopo un po’ tu evadi e ricominciamo. Non è un po’... noioso?

Nightbird ci si soffermò un momento: non si era mai annoiato, lui, in tutti quegli anni? Ad elaborare piani che venivano regolarmente smontati, a costruire strumentazioni ed armi che finivano danneggiate o distrutte o si rivelavano inadatte? A portare avanti la Grande Battaglia tra Bene e Male? Ci rifletté per diversi secondi, sotto lo sguardo attento di Metroman e di Kurt, che si era seduto e li scrutava incredulo – lui che per tanti anni aveva assistito alle loro schermaglie verbali e fisiche.

– No. Sinceramente no. Anzi, ammetto di essere andato in crisi quando tu sei sparito.

Metroman sorrise, grattandosi il mento – Beh, grazie amico. Non ci speravo, sai?

– Ah. Beh... prego?

– Io invece mi ero proprio stancato. Senza offesa, eh, ma... boh, ho cominciato a fare il supereroe quando ero negli scout, in seconda elementare, e non ne potevo più. Sempre a pensare agli altri, sempre a correre ovunque per fare qualcosa di buono, e non si finiva mai. Però poi mi sono accorto che... che anche quando non avevo qualcuno da salvare, io non avevo niente da fare: non avevo amici per uscire, non avevo una ragazza, non riuscivo manco a seguire le partite in tv come avrei voluto o ad andare ai concerti; c’era sempre qualcosa da fare per gli altri e per me non c’era mai tempo. E allora ho pensato, quel giorno, che forse avevo diritto ad una vacanza; solo che un Eroe non può prendere la vacanza, non è un ufficio che mette il cartello In ferie e poi torna quando ha finito: un eroe smette di fare l’Eroe solo quando lo ammazzano e quindi ho pensato, come dire... magari facevo un favore anche a te.

– Nonononono, aspetta un momento – intervenne a quel punto Kurt, squadrandolo allucinato – Quindi tu ci hai mollato nelle sue mani, senza offesa--

– No, va benissimo, hai ragione! – rincarò Nightbird – Tu li hai mollati nelle mie mani per andare in vacanza?

– Non è solo una vacanza! – sbottò Metroman, mettendosi le mani nei capelli e lasciandosi cadere sul divano – Sentite, mia madre mi ha sempre detto e ripetuto Finn, i tuoi poteri non sono solo un regalo, sono una responsabilità, devi usarli per il bene comune e a me va bene, per carità, solo che--

– Ti chiami Finn? – chiese Kurt.

– Sì?

– Avevo dimenticato che ti chiamassi in quel modo! – esclamò Nightbird.

– Beh, io invece non ho mai saputo come ti chiami tu.

– Nightbird! Come dovrei chiamarmi, altrimenti?

– Ah, quindi non è un nick name?

– Non siamo su internet e comunque no, ci tengo. È l’unica cosa che mi rimane dei miei e mi ricorda il paese da cui vengo.

– Forte, non lo sapevo.

– Nemmeno io – rispose Kurt, rendendosi poi conto che quell’assurda situazione sembrava una specie di seduta di autocoscienza collettiva in cui lui avrebbe dovuto essere lo psichiatra e invece di sentiva quello che ci stava capendo meno di tutti.

– Comunque, mia madre mi ha sempre detto quelle cose e io ci ho sempre creduto, però... – e qui fissò Nightbird, come se si aspettasse una risposta in grado di chiarirgli un dubbio installato lì da anni – Tu non ti sei mai sentitocostretto a fare quello che fai?

Nightbird non rispose. Ripensò a quando andava a scuola ed era sempre considerato la pecora nera, l’escluso, ilcattivo, a quando disse a Cooper che se tutti volevano che fosse cattivo allora l’unica cosa che rimaneva era esserlo davvero e farla pagare al mondo intero, perché lui non sarebbe diventato solo “cattivo”, ma Il Cattivo e se ne sarebbero dovuti tutti pentire amaramente; ripensò a quando, mentre fingeva di essere Blaine, si era chiesto come sarebbe stato se tutto quello non fosse accaduto, se a scuola le cose fossero andate normalmente e lui avesse semplicemente deciso di essere un “bravo bambino”, se gli fosse stata data la possibilità di esserlo.

E in quel momento, al di là della disparità di poteri, mentali o fisici che fossero, si rese conto che in fondo lui e Metroman si erano trovati davanti allo stesso muro, nella loro vita, quello composto dalle aspettative e dalle pretese delle persone attorno a loro; che essere Buono o Cattivo non era mai stata una scelta loro, in fondo, ma solo la risposta alla volontà di chi li circondava e li spingeva in una certa direzione; che se a lui era pesato essere il Cattivo non lo aveva mai ammesso perché in fondo, a parte quello, non gli rimaneva altro e Metroman doveva aver provato la stessa cosa.

Perciò, quando riuscì a sollevare di nuovo lo sguardo e a fissarlo negli occhi del suo antico Rivale (perché mai, mai Metroman era stato un nemico, qualcosa da distruggere, ma solo il suo naturale contraltare e a questo punto sembrava che neanche quello fosse mai stato stabilito da loro), vide nell’espressione stanca di Metroman lo specchio della sua stanchezza, quella che lo aveva spinto a cercare di crearsi un nuovo Rivale quando quello che per tanti anni aveva occupato il vuoto della sua vita era venuto a mancare.

– ... Già.

Mentroman sorrise sollevato – Ero sicuro che tu avresti capito.

– Ah sì? – chiese Nightbird ridacchiando – Beh, del resto sono sempre stato quello più sveglio. E intelligente. E carismatico, via.

– Anche il più umile, eh? – rise Metroman – Fin da piccoli.

– Già.

– Senti, a proposito... non ti ho mai chiesto scusa per... insomma.

– Ok, le scuse decenni dopo come in uno di quei programmi alla televisione mettono ansia, però.

– No, senti, te le devo. Sul serio. Perché se sono diventato quello che sono lo devo a te.

– ... la cosa ironica è che potrei dire lo stesso e non penso possa farti piacere.

– Senti, da bambino ero... ero abituato ad essere il migliore, ok? Volavo, avevo i raggi X negli occhi, potevo tirare su la macchina di mia madre se le cadeva qualcosa là sotto mentre scaricava la spesa.... e tutto questo era fico. Gli altri bambini mi trattavano come un eroe anche se alla fine non facevo niente di chissà che, non me lo guadagnavo quel nome, ok? Quindi quando ho iniziato ad andare a scuola, beh, non mi piaceva: stare fermo nel banco, scrivere, la matematica, leggere mio Dio... un disastro. E poi arrivi tu, e tutti ti guardavano strano perché venivi da un carcere, e avevi tutte quelle cose assurde da raccontare e imparavi tutto subito e ne sapevi anche più di miss Pillsbury... era fico. Però mi dava noia, perché nessuno era mai stato meglio di me in qualcosa, e... beh, credo di essere stato un moccioso viziato. E anche stronzo. Non lo capivo: venivo da una casa normale, con una madre che mi adorava e si era fatta in quattro anche dopo essere rimasta vedova e avevo tutti questi poteri strafichi e tutti mi adoravano e non capivo come si potesse stare ad essere te. L’ho capito dopo, perché me l’ha spiegato mia madre, e quando si è messa a piangere perché le avevo detto che ti avevano cacciato da scuola mi sono sentito uno schifo: perché mi ha detto che io non avevo nessun merito ad essere quello che ero come tu non avevi nessuna colpa ad essere quello che eri. Succede. E mi sono sentito una merda. E da allora non ho voluto più essere in quel modo e ho cercato di risolvere le cose dove potevo e di aiutare le persone da chi era stato stronzo come me. Quindi, insomma... ti devo delle scuse e ti devo dire grazie.

Nightbird rimase senza fiato, come se quel flusso di coscienza lo avesse pronunciato lui, quasi tutto d’un fiato, come se avesse aspettato una vita per tirarlo fuori: non aveva sbagliato tutto nella vita, allora, almeno una cosa sicuramente buona l’aveva fatta; aveva dato un Eroe al mondo.

Peccato che poi se ne fosse pentito e avesse organizzato una spettacolare richiesta di ferie, a quanto sembrava. E soprattutto peccato perché il sostituto che aveva tentato di mettere al suo posto aveva creato da solo in un pomeriggio più casini di lui in tutta la sua carriera di criminale.

– Wow... beh, suppongo di doverti dire grazie e dover accettare le tue scuse. Anche se in effetti ti ho fatto fare una vita che non volevi, da quanto ho capito.

– Beh, nemmeno tu hai fatto la vita che volevi per colpa mia – rise Metroman – Quindi direi che siamo pari.

– Pari mi sembra eccessivo... tu non hai messo a ferro e fuoco la città per anni. O distrutto strade e vetrine. O creato un supereroe che sta facendo un casino con i tuoi poteri – concluse Nightbird, lasciando crollare la testa tra le mani.

– Sì, ho visto al telegiornale... gran bel casino. Ma non potevi aspettartelo, hai sempre avuto questa cosa che alcuni piani ti andavano male perché non riuscivi a vedere come sarebbero finiti.

– In questo caso ho pensato che bastassero i poteri per fare di un supereroe un Eroe, ma a quanto pare avevo perso la lezione fondamentale – sospirò il criminale.

– Metroman, non puoi salvarci tu da Dav- da Titan? – chiese Kurt – Solo questo, poi nessuno ti chiederà più niente.

Metroman si grattò la testa, imbarazzato – Mi dispiace Kurt, è che... ormai ho appeso il mantello al chiodo. Non posso tornare indietro, non voglio: finalmente sto facendo qualcosa per me e sono felice; ho ricominciato a suonare la batteria e ho deciso che diventerò una star! Mi farò chiamare MusicMan, così il logo sarà lo stesso, non è grandioso?

– E ci lasci in balia di un pazzo?! – gemette Kurt, esasperato.

– Per favore, Metroman – supplicò Nightbird.

L’ormai ex-supereroe scosse il capo – Mi dispiace, ragazzi... ho chiuso. Però tranquilli – aggiunse, guardando il suo ex-Rivale – È come in tutti i film: quando c’è un Cattivo, arriverà sempre e comunque un Eroe a salvare la situazione. Anche nella vita è sempre così.

– Ma non siamo in un cavolo di film Marvel, ho tentato di spiegarlo anche a lui- cominciò Kurt, ma venne interrotto da Nightbird, che posò una mano guantata sulla sua.

– Lascia perdere – disse il criminale – Ha fatto una scelta, e ha ragione: ha passato la vita a proteggere gli altri, adesso è il suo turno di provare ad essere felice – detto ciò si alzò e fece per muovere verso la porta – Stammi bene, Finn.

– Anche tu, amico. E non dimenticarti quello che ho detto.

Nightbird si avviò lentamente verso l’uscita, il mantello nero e blu che svolazzava lievemente al suo movimento, e Kurt si ritrovò in piedi senza sapere che pesci prendere.

– E ci lasci andare davvero via cosi? Che razza di eroe sei? Ci lasci in balia di quel- sei peggio di Titan!

Metroman abbozzò un sorriso e si volse verso Nightbird, ormai un’ombra tra le ombre del corridoio buio – No. Vi lascio in mano a lui.


Archivio recensioni
Su Ao3


Credits & disclaimer

Phantasma © di Michiru, dal 7 gennaio 2007
Tutte le fanfictions ed alcuni dei banner che troverete qui sono © di Michiru, le canzoni, le citazioni ed i personaggi appartengono invece ai rispettivi autori. E' assolutamente vietato prelevare qualunque cosa da questo sito senza mio esplicito permesso. Sito non a scopo di lucro.
Layout © Juuhachi Go
Patterns © Photoshop Stock