Stairway to Heaven ~ IX. Dove il Male tenta di tornare ad essere malvagio ma, visto che non è portato, gli va storta. Che strano

Nightbird si trascinò lentamente verso il laboratorio segreto.

Strano, in realtà: da quando avevano preso il controllo della città (meglio: da quando la disgrazia di dover controllare quella stupida città gli era capitata tra capo e collo), lui e Cooper si erano trasferiti a vivivere al Municipio – perché era bello avere una specie di casa vera; eppure, dopo la batosta più atroce della sua vita, le gambe lo avevano portato automaticamente al laboratorio, quell’edificio senza finestre, con i muri grigio scuro, pieno di roba elettronica e col pavimento macchiato di olio e vernice, lo stesso aspetto fatiscente che aveva quando ci si erano rifugiati per la prima volta tanti anni prima.

Nightbird accese le luci, guardandosi intorno: non era cambiato niente, c’era solo più polvere, più freddo, più silenzio, più... beh, meno. Non c’era più Cooper.

Aveva sperato, o forse semplicemente il suo cervello non aveva saputo elaborare una realtà diversa da quella, che l’automa fosse lì, ancora offeso e impegnato a fare le pulizie distruggendo qualunque cosa il piumino o lo strofinaccio toccassero – ma non c’era; girò lentamente per tutti gli stanzoni, come se potesse essere in un quello successivo, come se la sua assenza nell’unico luogo che avesse mai chiamato “casa” potesse essere impensabile, come se i muri non potessero avere lo stesso colore, senza la sua presenza.

Arrivò nella sua vecchia stanza e, appeso sul grosso armadio di ferro che conteneva i suoi abiti, vide, involto in una cappa protettiva, il suo Outfit per il prossimo duello con Bietola II. Lo estrasse in un gran fruscio di plastica, la stoffa nera e blu, il pettorale nero e argento, i guanti, la cintura... e si domandò perché diamine Coop parlasse sempre di nuovo costume se alla fine gli rifilava più o meno sempre la stessa cosa.

Si tolse la tuta che aveva ed indossò quella nuova, voltandosi istintivamente verso lo specchio, e non gli parve mai di averlo fatto così lentamente, senza l’automa che agganciava il mantello o allacciava la cintura o lo inseguiva per lucidare gli stivali: rimase a fissare i capelli ancora perfettamente in piega, la stoffa nera e lucida del costume, il luccichio delle placche di metallo sulle spalle e sul petto, il grosso logo nero e argento luccicante (Coop, perché ‘sta stoffa luccica?, Aumenta la tua visibilità al buio., Ma sembra che l’ho rotolata nei glitter!, Beh, si intona con il gel!) sul mantello.

L’indomani sarebbe stato il Grande Giorno, avrebbe sfidato l’eroe che lui stesso aveva creato, avrebbe combattuto e, con sollievo, sarebbe stato arrestato: sarebbe tornato nel posto in cui era cresciuto, dietro le pareti verdi e azzurre della sua cella di massima sicurezza, la città sarebbe stata salvata e tutto sarebbe tornato a posto. Cioè niente sarebbe tornato a posto per lui, perché la sequela di ergastoli che lo attendeva, stavolta, avrebbe dovuto scontarla da solo e si accorse che non ci aveva mai pensato prima, perché solo era qualcosa che non era mai esistito.

Ripensò al volto ferito di Cooper, di Kurt, e si disse che forse, chiuso là dentro, sarebbe almeno riuscito a smettere fare del male alle uniche persone che avesse mai amato – ironico, vero? Il resto della città poteva accusarlo di avergli sfondato un muro di casa, o il cofano della macchina, i vetri di una stanza, rubato una decina di articoli dal negozio, ma le uniche volte in cui aveva fatto davvero del male a qualcuno erano state quelle.

Aveva una cazzo di mira invidiabile.

O forse avevano semplicemente ragione tutti quelli che gli avevano sempre detto che era un mostro.

L’indomani sarebbe stato il Grande Giorno in cui avrebbe chiuso il sipario sulla sua fallimentare esistenza, ma mancavano ancora tante ore e quindi, esattamente come faceva da bambino con la coperta quando tornava dalla scuola di miss Pillsbury, si avvolse nel mantello e si sedette in un angolo della stanza, aspettando. Forse che la porta si aprisse o che il cellulare suonasse, forse solo che il sole si sbrigasse a sorgere.

Chissà se Shuester gli avrebbe permesso di tenersi almeno quell’ultimo mantello.

 

~*~

 

L’ultimo robot che aveva costruito gli era valso il plauso di Cooper: era stato un bel lavoro, perché la realizzazione di quella specie di grossa cabina di pilotaggio ovale, da cui partivano braccia e gambe lunghissime, comandata esclusivamente dai suoi movimenti all’interno dell’ampio abitacolo, in modo che il robot li copiasse in tempo praticamente reale, gli aveva portato via un sacco di tempo – forse perché ne aveva speso sempre di più nei panni di Blaine, in giro per la città con Kurt.

Con un sospiro pesante, e senza manco l’ombra dell’emozione che provava ogni volta che esibiva una nuova creazione al mondo, Nightbird si portò fino al municipio dove, con pirotecniche esplosioni, lanciò la sua sfida.

– Ho sentito dire che c’è un nuovo Eroe, in città! – gridò, la sua voce straordinariamente amplificata sopra le grida terrorizzate della gente (aveva spaccato un sacco di asfalto e preso a calci un paio di macchine parcheggiate e vuote in cui era inciampato, ma il danno principale che sembrava aver causato alla popolazione era stato un aumento della congestione del traffico e parecchio spavento. Va beh, il solito quindi) – Se dunque vuoi contrastare il mio dominio e liberare Metrocity dal mio giogo, fatti avanti! Ti aspetto!

E infatti attese.

E attese.

E attese ancora.

Attese al punto che la gente terrorizzata in attesa del suo nuovo eroico salvatore, ad un certo punto, se ne tornò a casa a preparare il pranzo; attese al punto, seduto nel suo enorme robot davanti alle scalinate del municipio, che poté vedere con i suoi occhi come i cittadini avevano ripreso il loro tran tran come se niente fosse – un gruppo di ragazzini gli passò addirittura davanti correndo felici dietro alla loro macchinina telecomandata.

– Non ci posso credere – sbraitò furente, balzando in piedi. Creò un altro po’ di scompiglio girando per le strade nell’ora di punta del rientro dagli uffici, tanto che alla fine decise di prendere vie secondarie per raggiungere casa di Dave: con un leggero pugno sfondò la finestra del soggiorno e, usando il braccio dell’automa come un ponte, entrò nella stanza inveendo – Come, come ho potuto pensare di scegliere te? Ma s’è mai visto che il Cattivo deve aspettare che l’Eroe venga a fermarlo?! Sono stato ore lì! Un altro, meno deficiente di me, avrebbe potuto commettere un genocidio, radere al suolo tutto, e tu dov’eri?!

Dave lo accolse nella sua divisa di Titan sbriciolata di patatine (Cooper l’aveva fatta repellente allo sporco come la sua, ma Nightbird sperò che ad un certo punto se la fosse tolta per farsi una doccia e l’avesse lavata, aveva un tempo di asciugatura di 5 minuti netti!), comodamente assiso sul divano, la consolle in mano – Oh, ciao.

– Ciao? Ciao?! Si può sapere dove sei stato oggi? Spalmato lì a giocare mentre io ti sfidavo a salvare la città?!

– Rilassati amico, finisco il livello e arrivo.

Nightbird emise una specie di ringhio che gli si strozzò in gola quando vide che no, quello non era il vecchio televisore di Dave, come quella roba in fondo alla stanza – un paio di cassaforti, una pila enorme di DVD e videogiochi, diverse consolle e attrezzatura elettronica: non c’erano, l’ultima volta.

– Dove hai preso quella roba?

Il padrone di casa sembrò aver finito col suo gioco e si avvicinò a lui – Beh... in giro.

– “In giro”? Vuol dire che l’hai rubata?

Dave scoppiò a ridere – Beh, ‘sti super poteri li dovrò usare per qualcosa!

Il criminale, definizione che a questo punto difficilmente poteva identificare solo Nightbird, lo squadrò sconvolto – Dimmi che scherzi. Dimmelo. Tu devi essere l’Eroe! Quello buono, rispettoso delle leggi, quello che protegge, non che ruba!

– Oh, senti, come se tu avessi fatto chissà che danni a ‘sto posto – rispose l’altro con fare annoiato – E poi essere “l’Eroe” è solo una rottura di palle! Che ci guadagno? A Kurt non frega niente di me e ha piantato un piagnisteo quando--

– Kurt? Hai detto Kurt? Quindi... quindi quella sera eri tu? – quasi gridò Nightbird, sentendosi mancare il respiro – Sei tu il tizio che l’ha aggredito quella sera?

– Io non ho aggredito nessuno! – esclamò Dave, tra il furioso e lo spaventato. E il colpevole – Io sono l’Eroe, no? Allora perché non poteva stare con me? Tutti sanno che aveva una cotta per Metroman, che ho io di diverso? Se non ci devo guadagnare niente con la storia dell’Eroe, allora almeno cerco di usarla per qualcosa che mi migliori la vita!

L’altro lo squadrò e, di colpo, lo capì. Capì tutto all’improvviso e il pensiero lo schiacciò per l’orrore, come una valanga.

Perché i poteri non servono a niente: danno forza, potenza, capacità straordinarie, ma... ma è tutto lì.

Non conferiscono onore, coraggio, desiderio di proteggere gli indifesi, di mettere gli altri al primo posto, di sacrificarsi per salvare gente che manco conosci per il solo motivo che tu puoi farlo: non sono compresi nel pacchetto dei superpoteri; non sono quelli a rendere un uomo un Eroe, non erano quelli a rendere Metroman il Difensore di Metrocity.

Metroman era un Eroe perché era un eroe.

Fosse stato un umano come gli altri, sarebbe magari diventato un pompiere, un poliziotto, uno che comunque sentiva di dover fare qualcosa per la collettività perché – perché no? Perché era lì, perché gli veniva bene, perché era portato per quello, o forse perché da bambino era stato un bulletto stupido e dei genitori decenti o chissà quale altra esperienza della vita lo avevano messo sulla strada giusta; i poteri avevano preso tutto questo, la gentilezza, il desiderio di aiutare, e lo avevano posto su un livello sovrumano: ecco che l’uomo che avrebbe potuto salvare la gente dai palazzi in fiamme aveva potuto essere uno in grado di fare lo stesso svolazzando dentro e fuori dai suddetti palazzi e portando fuori tutti, gatti e pesci rossi compresi, nello stesso lasso di tempo che i vigili del fuoco impiegavano per srotolare gli idranti e collegarli alle pompe dell’acqua.

Ma non erano i superpoteri: era lui.

Non è il mantello bianco dell’Eroe a rendere ogni suo gesto eroico: l’eroe ci deve già essere.

E nel caso di Dave, a quanto sembrava, l’Eroe non c’era, come non c’era nella maggior parte delle persone; perché la maggior parte delle persone è egoista o quantomeno dedita al suo piccolo, ai fatti suoi e al massimo di quelli delle persone che ama. Nel caso di Dave, se lui era davvero quell’ex compagno di scuola che Kurt gli aveva detto essere stato il suo incubo alle superiori, quel bullo che insultava e spintonava e maltrattava in generale le persone per il solo gusto di poterlo fare perché lui era uno dei “fighi della scuola”, perché era alto e aveva due braccia come tronchi d’albero, se Dave era quel bullo che aveva assaltato Kurt di sera, mentre si stava dirigendo al loro appuntamento (così almeno gli aveva raccontato quella sera con una voce minuscola, a lacrime asciutte, con la fronte premuta contro il suo collo, più terrorizzato forse di quando singhiozzava) – se Dave era quello lì e quindi quell’individuo era Titan, voleva significare solo una cosa: aveva preso i poteri di Metroman, gli immani poteri con cui Metroman aveva protetto la città per anni, e li aveva messi in mano ad una persona che non aveva ben chiaro cosa fossero il rispetto per il prossimo e il dominio di sé.

Ma, soprattutto, con una persona che viveva perennemente spaventata e che sfogava questo stress continuo nuocendo al suo prossimo.

Di tutte le cazzate della sua esistenza, tutte, compreso scacciare Cooper e mentire a Kurt, questa era la più devastantemente immensa, perché era quella che avrebbe potuto distruggere anche Cooper e Kurt di riflesso – loro, come tutta la città, come tutto e tutti.

– Che ne sai, tu, di Kurt e di-di quella sera? Cosa sai? – la voce di Dave lo riscosse: torreggiava su di lui, il rosso della divisa sembrava ardere sommessamente come la brace, e sul suo viso sembravano dibattere il panico e la rabbia – Che cazzo sai tu di Kurt?

E poi qualcosa scattò nella sua testa: Nightbird poté vedere la luce nei suoi occhi cambiare, come se si fosse acceso un interruttore, e la paura sembrò dissolversi, bruciata viva dalla furia – Quindi quel cazzo di Blaine sei tu!

Nightbird sapeva che avrebbe dovuto inventarsi qualcosa, se non per rimediare nell’immediato alla monumentale tragedia che aveva innescato, almeno per salvarsi la pelle: e invece il pensiero che sì, cazzo, se lui era Blaine voleva dire che quello era il bullo che aveva terrorizzato anni della vita di Kurt e aveva potuto vedere in che stato una persona sarcastica, forte, brillante, che rideva in faccia all’ennesimo sequestro di un criminale come fosse nulla, potesse ridursi ad un mucchietto di gambe spalle braccia tremanti, rannicchiato su se stesso come se così potesse sparire e non farsi vedere e non essere colpito – se quello era Dave Karofsky, la sola cosa che il suo cervello potesse processare era la rabbia più totale.

Che spense tutto, effettivamente (quei due neuroni che non si erano ancora impiccati per la vergogna di aver cannato così orrendamente un piano, regalando ad un bulletto del liceo il potere di poter diventare il bullo della metropoli e del mondo, quantomeno): si slanciò contro Titan, colpendolo contro la mandibola di acciaio e facendosi più male che altro nel tentativo di distrarlo quel tanto da permettergli di correre verso il suo robot.

– Torna qui, maledetto nano! – ruggì Titan.

Nightbird fece appena in tempo a balzare nell’abitacolo e a riattivarlo che un autocarro, lanciato come fosse stato una macchinina per bambini, gli planò addosso, mancandolo solo per uno scarto fulmineo: si volse e vide Titan strappare via la balaustra di un palazzo, portandosi via metà della parete frontale dell’edificio, e poi lanciargliela addosso, travolgendo la superstrada sopraelevata.

Se restiamo qui, farà un massacro, fu l’unica cosa che riuscì ad elaborare, mettendo per un istante da parte la rabbia personale; addocchiò una strada che sembrava sgombra e prese a correre in quella direzione, tirandosi dietro il suo nemico, finché non fu in vista del cantiere al momento sgombro di operai di quello che sarebbe dovuto diventare un maxi parcheggio. Non fece in tempo a raggiungerlo che Titan gli fu addosso, colpendolo e facendolo atterrare con gran fracasso al suolo, come un giocattolo di ferro: Nightbird si rialzò più in fretta che poté, cercando di valutare come salvarsi la pelle adesso che era riuscito a portare la “sua” creatura senza controllo in un luogo dove non potesse distruggere edifici e strade trafficate – il che aveva però portato ad eliminargli ogni potenziale distrazione, rendendo ogni speranza di fuga praticamente impossibile. Conosceva bene i poteri di Metroman, lui, ci si era scontrato ed aveva inventato modi per neutralizzarli per anni, ma oltre a dover ammettere che non c’era mai granché riuscito, adesso se li trovava davanti utilizzati in un modo completamente diverso.

– Hai finito di scappare, sfigato?

– Stavi facendo una strage, di là.

– E quindi?

Non avrebbe dovuto stupirlo una risposta del genere, vista l’ultima, cos’era, mezz’ora?, ma ricordando il ragazzo che lui e Cooper avevano addestrato aveva sperato di non doverla ascoltare; stava per ribattere quando si udì una cacofonia di elicotteri e mezzi motorizzati e un altoparlante urlò – Arrenditi, Nightbird! Sei circondato!

– Sì, da imbecilli – gemette lui, guardando il patetico tentativo dell’esercito radunato in pompa magna di fermare lui invece di quell’altro, che svolazzava a mezz’aria lui (niente, Cooper non ce l’aveva fatta ad insegnargli a farlo con un barlume di eleganza) e osservava perplesso quel dispiegamento, a cui iniziava ad aggiungersi una folla di curiosi sempre più nutrita.

Dava soddisfazione essersi quasi condannato per salvare loro la pelle, eh.

– Esci dal robot con le mani in alto! – intimò Figghins, Figghins di tutti i deficienti, avviluppato in una tuta anti-proiettile, un elmetto da football in testa ed un megafono in mano che tremava così tanto che gli venne la nausea a guardarlo.

– Non per guastarle questa scena da poliziesco, sindaco, ma mi preme farle presente che il pericolo qui non sono io.

Fu come se, di colpo, l’attenzione generale fosse stata colpita dalla consapevolezza che c’era qualcun altro, sull’improvvisato campo di battaglia, e mentre Figghins gli urlava speranzoso col megafono – Chi sei, tu? Un nuovo supereroe? Sei venuto a salvarci da quel criminale? – ed il brusio della gente si faceva sempre più forte e una pioggia di flash iniziò a scintillare dalle prime file (faticosamente tenute indietro da una cordata di poliziotti), Nightbird seppe che non era l’idea più geniale di tutte, ma sgusciò dall’abitacolo sperando che l’attenzione di Titan fosse tutta presa da quell’inaspettato momento di celebrità, mutò l’aspetto in quello di Blaine – provando un violento attacco di nausea e giurando che non l’avrebbe mai, mai più fatto, e riuscì a mescolarsi alla folla che aveva rotto l’argine di forze armate in preda alla curiosità.

Era una fatica immane cercare di muoversi in direzione opposta alla folla vociante, ma quantomeno sapeva che il suo aspetto non avrebbe attirato l’attenzione – e sperò, sperò davvero che tutto quello avesse il potere di far tornare Dave sui suoi passi: d’accordo, poteva odiarlo e volerlo fare fuori, ma poteva anche essere il nuovo supereroe, posto davanti a quella prova di fiducia (o di totale disperazione, nel caso di Figghins, che avrebbe accolto a braccia aperte pure il diavolo, se fosse venuto a liberarlo da Nightbird).

Riuscì a districarsi dall’ultimo blocco compatto di curiosi proprio mentre, dalla città congestionata dal traffico, dal panico e dai crolli causati da Titan, arrivava altra gente per capire cosa stesse succedendo; e vide, perché era la sola altra persona a correre nella sua direzione, Kurt: a testa bassa, con un misto di terrore e disgusto sul viso; aveva a tracolla la borsa del tg, probabilmente lo avevano spedito lì a fare un servizio, ma alla vista di Karofsky doveva aver capito cosa stava succedendo ed era battuto in ritirata. Ma esattamente come lui era riuscito a vederlo, c’era riuscito anche Titan: Nightbird si volse e potè vedere, anche da lì, come il suo volto si irrigidiva in una maschera di rabbia e seppe, in quel momento, che la città era spacciata.

– Sei il nostro nuovo difensore? – gridò ancora Figghins, sollevato, la voce amplificata che sovrastava le grida di giubilo della gente – Sei venuto a salvarci?

Titan scrutò ancora al di là della folla, dove Kurt era fuggito senza voltarsi: aveva riconosciuto la sua espressione quando lo aveva notato in mezzo a quel casino di gente, la stessa dei tempi del McKinley, orgoglio che malcelava un misto di rabbia, terrore e disgusto; strinse gli occhi, infastidito dai flash, dal sindaco che berciava e dalle armi puntate verso di lui, e continuò a seguire la figura snella del ragazzo finché non voltò un angolo e sparì.

Se l’era immaginata tutta diversa, quella faccenda: super poteri, fisico scolpito, una divisa fantastica, la città che lo acclamava e che non avrebbe avuto niente da ridire sul fatto che a lui interessasse Kurt. E invece... invece Kurt se la faceva con Nightbird. Con quello sfigato tappo con i capelli impiastrati che aveva passato anni a farsi prendere a calci da Metroman.

Beh, quel periodo era finito, perché lui lo avrebbe distrutto, polverizzato, e anche se Kurt avesse voluto ragionare e tornare sui suoi passi, avrebbe fatto fare la stessa fine anche a lui: era stanco di gente che non capiva i suoi sforzi, era stanco proprio di sforzarsi a fare le cose per provare a rendere contenti gli altri. Da quel giorno si cambiava regime, anche perché adesso, adesso nessuno avrebbe più potuto dirgli cosa fare o non fare.

Si abbassò leggermente, strappò di mano lo stupido megafono di Figghins e ghignò – Salvare chi? Voi sfigati? Pensala più come un cambio di gestione, amico. E se pensavate che quel nano sfigato di Nightbird fosse cattivo, non avete ancora visto niente!

 

~*~

 

Nightbird continuò a vagare come Blaine finché non fu certo di non rischiare di incrociare nessuno: quindi, con un sospiro di sollievo, riprese il suo aspetto e rimase ad osservare il portone nel quale aveva visto sparire Kurt. Sapeva che probabilmente – anzi, sicuramente – non era il momento migliore, ma era anche indispensabile parlargli, un po’ perché lui aveva creato quel casino e non aveva nessun altro a cui chiedere aiuto per districare la matassa, un po’ perché l’espressione di Kurt, la sua schiena ingobbita mentre camminava a passo fin troppo svelto, quasi una corsa, gli aveva lasciato addosso un magone tremendo.

Si fece coraggio e, avvicinatosi al citofono, cercò di capire a che piano doveva salire – dubitava che il padrone di casa avrebbe avuto voglia di aprirgli.

 

~*~

 

Kurt si chiuse alle spalle il portone e vi si appoggiò qualche secondo: la testa era piena di un ronzio sordo e gli sembrava che tutto intorno a lui vorticasse, e gli venne la nausea; aveva bisogno di un posto stretto e raccolto in cui sedersi e riprendere a respirare normalmente, e con orrore si rese conto che quello era esattamente lo stesso tipo di attacco di panico che lo coglieva da adolescente, a scuola, dopo essere stato buttato in terra, ovvero quando non era impegnato a smacchiarsi i vestiti in tutta fretta nel bagno della scuola, operazione che di solito riusciva a distoglierlo abbastanza dal terrore.

Aveva senso, si disse, perché lo stesso bullo che aveva reso i corridoi del McKinley uno scivolo per l’inferno era adesso il bullo della città e solo il cielo sapeva fino a che punto sarebbe riuscito a spingere la sua frustrazione e la sua stupida idiozia adesso che aveva quei poteri; sapeva che in fondo Dave non era cattivo, lo aveva sempre saputo, ma così come il giubbotto bianco e rosso da jock sembrava renderlo un’altra persona – peggiore, violenta e aggressiva – lo stesso effetto sembrava aver sortito su di lui la tuta rosso e arancio di Titan. Era tutto come quando era a scuola, tutto come negli anni che sperava di essersi lasciato alle spalle per sempre, solo che se in quel periodo i suoi sensi erano come anestetizzati da mesi e poi anni di sopportazione e mantenuti sani quantomeno dalla sicurezza che se ne sarebbe andato, prima o poi, rimpiombarci dentro adesso, dopo anni di vita più o meno serena e realizzata, e sapendo che il pericolo stavolta non sarebbe finito perché non c’era nessuno in grado di fermarlo... era peggio. Era mille volte peggio, e Kurt si ritrovò rannicchiato ai piedi della porta a imporsi di ricordarsi come si respirava.

E poi c’era Blaine – anzi, Nightbird. Come se tutta quell’enorme sfiga non bastasse, c’era il carico sopra di giorni di... mah. Rachel aveva commentato che sembrava un fantasma ed era stata a suo modo supportiva, niente affatto molesta e sollecita nel fargli trovare sempre del cibo consolatorio in giro per la casa (una sera aveva trovato una confezione dei suoi biscotti al doppio cioccolato arrotolata nel pigiama sotto il cuscino del suo letto). Ma, inutile dirlo, non era lo stesso.

Non aveva mai trovato una persona come Bl- come chiunque fosse quello lì. Qualcuno con cui ridere e che lo facesse ridere, qualcuno che lo trattasse come non era mai stato trattato – come in un vecchio film, con le porte aperte per lui, i fiori, il conto pagato quando la mattina entrava nel suo bar preferito. Qualcuno che si ricordava ogni stupido dettaglio che gli fosse sfuggito di bocca, qualcuno che sapesse cosa significava venire emarginato e scelto sempre per ultimo, qualcuno che... che lo facesse sentire speciale, qualcuno che lo guardasse in quel modo, che era tanto simile quanto diverso dalla maniera in cui lo guardava suo padre ogni tanto, quando si rendeva conto di non essere osservato – con orgoglio e adorazione. Perché Kurt sapeva di essere speciale, che domande, ma leggerlo negli occhi di un’altra persona, di una persona che lui stesso considerava speciale era qualcosa di sconosciuto. Ed era bello. E sapere che era tutta una menzogna, o forse peggio, non sapere quale parte fosse menzogna e quale no, era così orribile da togliergli il sonno e l’appetito. O forse era peggio sapere che niente era stato una menzogna e lui gli aveva voltato le spalle comunque – perché Nightbird poteva essere considerato il criminale numero uno della città e dello Stato, ma fondamentalmente non aveva mai combinato chissà quali atrocità, e Kurt la ricordava ancora, bene, l’espressione di incredulo orrore quando il mantello e lo scheletro di Metroman gli erano piombati addosso: si era aspettato una reazione diversa, magari una risata satanica da cattivo dei film, o quantomeno un ghigno soddisfatto, non l’orrore inaspettato da mio Dio, cosa ho fatto?

Perché in fondo le tracce c’erano state, a volerle cercare.

Blaine che cercava di giustificare quel che Nightbird aveva fatto negli anni, lo stesso linguaggio forbito, lo stesso modo di canzonarlo senza traccia di malizia, il modo in cui parlava con stima e affetto di Metroman, lo stesso strano colore di occhi bronzomieleoroliquido, a seconda della luce – c’era stato tutto, ma lui non avrebbe potuto vederlo o forse non avrebbe voluto.

Però ricordava ogni secondo, ogni bacio, ogni tocco delle mani calde di Bl- di Nightbird, ogni parola sussurrata con voce bassa, roca, quella di quando sembrava fare una confessione o raccontava qualcosa che era suo e basta e non aveva mai detto a nessun altro, come quando parlava di Cooper... che a questo punto doveva dedurre essere l’automa che lo seguiva. Ma che razza di persona poteva venir su, cresciuta da un automa, per quanto programmato per sembrare umano? Per questo sembrava sempre così stupito da ogni gesto d’affetto fisico, come se non fosse abituato ad essere abbracciato o accarezzato? ... Certo, ci mancava solo che si mettesse a giustificarlo, adesso. Eppure in quei giorni non aveva potuto impedirsi, quando quella specie di nebbia densa che aveva seguito la scoperta iniziale aveva iniziato a diradarsi, a ripensare ad ogni minuto trascorso insieme, a cercare indizi che non aveva visto, risposte che non avrebbe ricevuto, ad accumulare domande che però non sembravano in grado di annientare quei momenti – perché lui era stato vero e Nightbird, oh cielo, nessuno sarebbe mai riuscito a fingere così tanto, così bene e così a lungo, come la sera in cui lo aveva tenuto tra le braccia per ore, quando Titan lo aveva quasi ammazzato e poi terrorizzato definitamente con la sua rivelazione di essere Dave Karofsky; perché si era sentito così amato, così protetto e rassicurato solo nelle braccia di suo padre, fino a quel momento, e quello non poteva essere una menzogna, perché non avrebbe potuto non accorgersene. E la sua mente sembrava ripeterglielo in loop mentre riviveva ogni appuntamento come uno di quei fans ossessivi che riguardano mille volte ogni episodio della loro serie preferita per carpire ogni dettaglio.

Ed era esattamente per quel motivo che sapeva di non potersi sbagliare, perché l’espressione di Nightbird quella sera, quando lo aveva inseguito fuori da ristorante supplicandolo di accettare le sue spiegazioni, era la stessa, identica, disperata e terrorizzata di quando aveva sollevato il mantello di Metroman e aveva trovato solo uno scheletro: quella di un uomo schiacciato dai sensi di colpa che può solo ripetersi mio Dio, cosa ho fatto?

 

~*~

 

Doveva essere rimasto immobile così per un lasso di tempo breve, probabilmente, ma diluito all’infinito dalla sua angoscia, quando sentì il colpo alla porta: provò a sobbalzare, ma la posa scomoda lo aveva indolenzito, e ci mise qualche secondo a voltarsi e a fissare l’uscio chiuso come fosse un mostro.

Non diciamo cazzate, di disse, Titan la porta l’avrebbe già abbattuta. O neanche, avrebbe direttamente sfondato il muro.

Poteva essere Rachel, si disse, rendendosi conto con orrore che l’aveva lasciata lì insieme agli al loro nuovo cameraman e al resto dei giornalisti.

– Rachel? – chiese, senza osare avvicinarsi.

Qualche istante di silenzio.

 – ... Kurt? So che sono l’ultima persona che vorresti vedere in questo momento, ma... ho bisogno di parlarti. Per favore?

Il ragazzo si avvicinò con mani tremanti allo spioncino e poi, messo il gancio di sicurezza, schiuse il portone – Non sopravvalutarti come tuo solito, non sei l’ultima persona che vorrei vedere adesso.

Il criminale abbozzò un sorriso amaro – Posso avvalermi del mio posto di penultima persona che vorresti vedere al mondo per parlare?

– Che altro vuoi da me?

– Ho fatto un errore enorme, incalcolabile e...

– Beh, ci hai messo giorni per degnarti di dirlo.

– No, non parlavo di noi, cioè, , ovvio che quello è stato un errore incalcolabile, però ormai- ti prego, smettila di farmi parlare con una porta!

– Che altro hai fatto di così atroce?

– Titan.

– Nel senso che mediti di sottoporti di nuovo alla tua crociata per riconquistarti un posto in carcere? Dolente di farti sapere che Dave non è il tipo né da portarti lì sulle tue gambe, né...

– Ho creato io Titan.

– Tu cosa?!

– Volevo creare un nuovo supereroe, volevo che qualcuno – volevo che qualcuno mi fermasse, perché merda, nei film ti mostrano sempre i cattivi che vogliono il potere ma mai cosa pensano di farci una volta ottenuto, perché di solito non ce la fanno e anche quando ci riescono finisce che fanno roba che a me non interessa.

– Sei un deficiente! – ruggì Kurt, che aveva lottato con lo stupido gancio della porta fino a quel momento ed era finalmente riuscito a toglierlo e a spalancarla: ed era stupido, ma non era preparato a ritrovarsi Nightbird davanti, così vicino e così affranto e merda, perché quest’uomo era totalmente incapace di mascherare il senso di colpa?

– Lo so – rispose il criminale, senza distogliere lo sguardo dal suo, come se non ci riuscisse, come se non avesse pensato ad altro che a rivederlo e non volesse farsi sfuggire neppure un istante della possibilità che aveva ora – Qualunque insulto tu abbia in mente, Kurt, l’ho già usato su di me, ripetutamente e in lingue diverse. Non è questo il punto, adesso.

– Hai preso uno stupido ragazzo perennemente frustrato per le stupide paure nella sua testa e gli hai dato i poteri di Metroman! A scuola terrorizzava chiunque gli capitasse a tiro che non gli andasse a genio, cosa pensi farà adesso?!

Nightbird sospirò e abbassò finalmente lo sguardo – È per questo che sono qui. Ho bisogno di aiuto.

– E perché del mio, di grazia?

E fu un errore fare quella domanda, perché Nightbird sollevò di nuovo il volto e piantò due occhi di un color miele mortale su di lui, mentre rispondeva, a voce così bassa che a Kurt scivolò un brivido per la schiena – Perché ormai ho solo te.

 


Archivio recensioni
Su Ao3


Credits & disclaimer

Phantasma © di Michiru, dal 7 gennaio 2007
Tutte le fanfictions ed alcuni dei banner che troverete qui sono © di Michiru, le canzoni, le citazioni ed i personaggi appartengono invece ai rispettivi autori. E' assolutamente vietato prelevare qualunque cosa da questo sito senza mio esplicito permesso. Sito non a scopo di lucro.
Layout © Juuhachi Go
Patterns © Photoshop Stock