Attesa

Set per la Mezza Tabella, 03. Attesa

Non sapeva bene quando aveva cominciato a farlo.
Tutti i giorni, appena finita la colazione, se ne andava nel cortile del dojo di Kondo-sensei e rimaneva lì, finché non calava il sole e gli allievi se ne tornavano al villaggio; non voleva ammetterlo, ma aspettava che Isao finisse gli allenamenti e, nel trovarlo lì, lo riaccompagnasse a casa e si fermasse a giocare con lui. Mitsuba, una volta, gli aveva fatto notare che non era un comportamento educato, il suo.
Devi capire che Kondo-san è un samurai, Sou-chan, aveva detto, Si allena tutto il giorno e la sera è stanco, e non è giusto che tu lo costringa a venire qui ogni volta. Ma lei per prima sapeva che quel ragazzo dal sorriso aperto e dai modi gentili era l’unico amico che suo fratello avesse, e non osava rimproverarlo più di tanto; poi, una sera, Isao glielo aveva riportato dopo l’ora di cena e, quando lei aveva iniziato a sgridare Sougo, lui, nel vedere il bambino a testa china, che ascoltava il rimbrotto mordicchiandosi il labbro inferiore, la fermò gentilmente.
– Se a Sougo piace stare al dojo – disse – Posso chiedere al maestro di far fare lezione anche a lui. Non ti piacerebbe diventare un samurai, Sougo?
Il bambino lo guardò con gli occhi brillanti e poi si volse verso la sorella – Posso? Posso, aneue?
Lei guardò incredula i due, non sapendo cosa dire – Ma… ma non sarà troppo disturbo per lei, Kondo-san? Shou-chan è un discolo, non sarà un problema?
– Ma no! – rise lui, scompigliando i capelli del bambino – Sougo è un ragazzino molto intelligente, sono sicuro che si troverà benissimo.
– Se lei la pensa così… La ringrazio infinitamente, Kondo-san – rispose lei, felice, inchinandosi profondamente e facendo arrossire Isao, che iniziò a schernirsi imbarazzato.

~*~

E così da quel giorno, ogni mattina, Sougo balzava fiori dal letto per correre al dojo, tanto che Mitsuba doveva trattenerlo per impedirgli di arrivare lì troppo presto; si fermava fino a sera e, in barba alle esili proteste di sua sorella, tornava sempre con Kondo, spesso mezzo addormentato sulle sue spalle.
Poi, un giorno, arrivò un nuovo allievo: un ragazzo della stessa età di Isao, ma dai modi rudi e l’espressione sempre seria, quasi truce, che non si allenava con gli altri, ma sedeva per ore sull’engawa, osservandoli con la coda dell’occhio; era brusco persino con Kondo, che l’aveva salvato da morte certa (quando l’aveva portato lì, era sanguinante e pieno di ferite) e gli aveva dato un posto dove vivere, ma, con gran costernazione di Okita, Isao ci passava sopra e rideva e scherzava con lui come con tutti, ignorando quell’umore tutt’altro che gioviale.
Sougo osservava tutto in silenzio, con aria offesa, perché da quando quello era arrivato, Kondo si occupava più di lui che di chiunque altro; gli scocciava farlo notare al suo amico, perché avrebbe voluto dire ammettere troppe cose, prima tra tutte, il suo bisogno di essere al centro della sua attenzione, così come capitava a casa con Mitsuba.
Fu così che imparò a tornare a casa da solo, ogni sera.


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